L’ambiente durante il Paleolitico Medio
Al Paleolitico medio sono generalmente assegnati i complessi riferiti all’Homo di Neanderthal i cui resti scheletrici sono distribuiti nell’Europa meridionale e centrale, nel Vicino e nel Medio Oriente, entro un intervallo cronologico che abbraccia l’Interglaciale Riss-Würm e una parte della glaciazione di Würm all’incirca tra 130.000 e 35.000 anni dal presente.
Il miglioramento climatico che si è verificato durante l’Interglaciale Riss-Würm dà origine ad un nuovo sviluppo della vegetazione arborea; buona parte dell’Europa temperata e parte di quella mediterranea viene ricoperta da un fitto bosco di latifoglie. A questa fase temperata, con un clima caldo relativamente umido nel Mediterraneo occidentale ed arido nelle regioni interne del Medio Oriente, segue un raffreddamento generale che segna l’inizio della glaciazione würmiana con una prima fase con clima freddo-umido, seguita da una fase successiva con clima freddo-arido. Durante la glaciazione di Würm il bosco tende a scomparire lasciando spazio a una vegetazione a prateria o a steppa.
L’espandersi della calotta glaciale artica determina un netto cambiamento climatico-ambientale che provoca successive ondate migratorie di animali di ambiente steppico. Alcune specie che caratterizzavano il Pleistocene medio, quali l’elefante antico, il rinoceronte di Merck e l’ippopotamo si spostano verso i territori più meridionali e si estinguono non riuscendo ad adattarsi alle nuove condizioni climatiche. Contemporaneamente a questa migrazione verso territori più temperati, si verifica una lenta occupazione dell’Europa centrale e meridionale da parte di specie artiche, come ad esempio il mammut, il rinoceronte lanoso, la renna, l’alce, il bue muschiato e alcuni roditori (lemming). L’effetto della glaciazione risulta mitigato nell’area mediterranea e tale situazione si ripercuote nella composizione delle faune; durante le prime fasi del raffreddamento, infatti, sopravvivono ancora l’elefante, l’ippopotamo e il rinoceronte assieme a sporadiche presenze di faune fredde.
L’aspetto fisico dell’Homo Sapiens Neanderthalensis
L’uomo di Neanderthal è noto dai resti scheletrici di oltre 300 individui la cui distribuzione si estende dall’Europa occidentale fino all’attuale Uzbekistan in Asia centrale.
La parte dello scheletro con caratteristiche più marcate è costituita dal cranio; la sua architettura è, infatti, assai diversa da quella dell’uomo attuale. Il cranio dell’uomo di Neanderthal ha una capacità cranica media pari a 1.520 cc, di poco inferiore a quella dell’uomo di Cro-Magnon (Homo sapiens sapiens), ma superiore alla media dell’uomo attuale. La sua forma si differenzia da quella del sapiens, giacché essa è più lunga, larga e meno alta. L’osso frontale è meno elevato, più sfuggente. Nella parte anteriore si osserva un notevole rigonfiamento continuo (torus) che forma due archi in corrispondenza delle orbite. La faccia è prognata, con grandi orbite rotonde; il mento è spesso assente.
Le ossa dello scheletro sono in generale più robuste di quelle dell’Homo sapiens, ma nel caso degli arti è evidente come l’avambraccio e la parte inferiore della gamba fossero relativamente corti. La statura media è pari a 166 cm. La taglia piuttosto piccola, l’ossatura robusta e le estremità corte testimoniano l’adattamento a un clima freddo.
Il Musteriano
Il termine Musteriano, derivato dalla località omonima di Le Moustier in Dordogna (Francia), designa l’insieme delle industrie del Paleolitico medio. Le industrie litiche musteriane rappresentano lo sviluppo di quelle già note durante il Paleolitico inferiore rispetto alle quali però documentano le seguenti caratteristiche di innovazione tecnologica:
– perfezionamento della tecnica di scheggiatura levalloisiana;
– perfezionamento della tecnica di lavorazione dei bifacciali;
– differenziazione e standardizzazione degli strumenti su scheggia, in particolare modo delle punte e dei raschiatoi;
– incremento degli strumenti ricavati da supporti laminari.
La distinzione delle varie industrie riferibili al Paleolitico medio dell’Europa e del Vicino Oriente si basa sulle differenze riscontrate nella tecnica di scheggiatura dei manufatti di pietra (presenza/assenza della tecnica Levallois) e sulle diverse incidenze di particolari tipi di strumenti (come ad esempio i raschiatoi o i denticolati). Queste caratteristiche consentono di distinguere quattro principali complessi musteriani secondo lo schema classico francese (Musteriano di tradizione acheuleana, Musteriano tipico, Charentiano, suddiviso tra un tipo La Quina e uno Ferrassie, e Musteriano a denticolati).
Il Musteriano di tradizione acheuleana è diffuso in un’area limitata, comprendente le regioni europee occidentali-atlantiche. Industrie litiche che presentano generici caratteri del Charentiano sono invece diffuse nelle regioni mediterranee e nell’Europa centrale. Il Musteriano tipico è ampiamente distribuito in tutta l’Europa e nel Vicino Oriente, mentre il Musteriano a denticolati è presente nel Levante spagnolo, Italia settentrionale, Vicino Oriente e litorale transcaucasico.
Allo stato attuale delle conoscenze è difficile tracciare un quadro generale del Musteriano italiano a causa dello stato lacunoso dei dati archeologici e soprattutto di quelli paleocologici. Pur nella varietà dei numerosi aspetti documentati, è possibile distinguere due aree principali una centro-settentrionale e una centro-meridionale. Durante il momento iniziale del Paleolitico medio, corrispondente alla fase climatica Würm I, i territori del centro-nord dell’Italia documentano la presenza di complessi riferibili al Musteriano tipico con una forte incidenza nella tecnologia litica della tecnica Levallois soprattutto nel versante alto-adriatico. Nel Lazio costiero e nelle regioni centro-meridionali invece sono attestate industrie litiche riferibili al Charentiano tipo La Quina. Nel corso della fase climatica Würm II, si verifica un processo di unificazione con l’affermarsi su tutto il territorio della penisola italiana, tranne poche eccezioni a livello regionale, di un Musteriano tipico con presenza abbondante di raschiatoi e di strumenti tipici del successivo Paleolitico superiore, quali bulini, grattatoi, becchi, ecc. Alla fine di questa fase e agli inizi del Würm II-III, in diverse regioni italiane si sviluppa un Musteriano a denticolati, caratterizzato da un generale decadimento tecnologico, con una netta diminuzione della tecnica Levallois che talora scompare del tutto e con una riduzione della varietà tipologica degli strumenti a favore di quelli denticolati.
Tra i vari aspetti regionali più interessanti del Paleolitico medio italiano si annovera il Pontiniano presente in accampamenti all’aperto o in grotta del Lazio, delle aree costiere della Toscana, della Campania e della Puglia. Il Pontiniano è considerato una variazione del Charentiano tipo La Quina, condizionato dall’impiego nella fabbricazione degli strumenti di piccoli ciottoli arrotondati. Dai ciottoli, dimezzati dalle prime percussioni, o dalle schegge ricavate successivamente con ripetuti distacchi (calotte, spicchi), si arrivava ai manufatti finiti; gli strumenti risultano di piccole dimensioni e conservano per tale ragione buona parte del cortice.
L’Italia settentrionale durante il Paleolitico medio
Nell’Italia settentrionale si possono distinguere tre aree geografiche principali: area ligure, area padana e Carso triestino. La maggiore concentrazione di località che hanno restituito reperti del Paleolitico medio si trova nel Veneto, anche se, con minor frequenza, altri ritrovamenti sono documentati in Liguria, Piemonte, Emilia Romagna e Friuli-Venezia Giulia .
In Liguria le più antiche testimonianze di una frequentazione da parte di gruppi umani del Paleolitico medio sono attestate alla Barma Grande, ai Balzi Rossi e nella grotta della Madonna dell’Arma. Lo strato sottostante al livello con reperti musteriani di quest’ultima località è stato datato, con il metodo dell’uranio-torio, tra 100.000 e 90.000 anni fa. Le industrie litiche sono in calcare, costituite da grosse schegge e nuclei; ad esse è associata un tipo di fauna a grandi pachidermi (elefante, ippopotamo e rinoceronte).
Nelle fasi successive, e in particolare durante il Würm I e I-II, si registra un lenta evoluzione delle industrie litiche che mostrano una certa variabilità tecnica e tipologica. Si ricordino a questo proposito i livelli riferibili al Musteriano tipico ricco di raschiatoi presenti nella Barma Grande, nella Grotta del Principe, nella Caverna delle Fate, nella Grotta di Madonna dell’Arma e in quella di S. Lucia di Toirano.
Durante il Würm II, fase climatica fredda ed arida, sopravvive tra i grandi pachidermi solo il rinoceronte, mentre sono presenti il cavallo, lo stambecco, il camoscio e la marmotta, in alcuni casi è pure documentata la renna. Il passaggio a un Musteriano a denticolati, riferibile cronologicamente a questa fase climatica, è documentato nel Riparo Mochi e nello strato superiore della Grotta di S. Lucia.
Di particolare rilievo infine è l’industria litica rinvenuta nella località S. Francesco di Sanremo, dove la tecnica e la tipologia Levallois presentano manufatti ricavati da supporti laminari; tra gli strumenti, è interessante rilevare la bassa incidenza dei raschiatoi a favore dei denticolati e degli strumenti di tipo Paleolitico superiore, quali bulini e coltelli a dorso. Questa industria è forse riferibile alla fase climatica Würm II-III.
Il bacino padano presenta una sostanziale omogeneità ambientale e morfologica a cui fa spesso riscontro una simile omogeneità degli aspetti tipologici e culturali delle industrie del Paleolitico medio. Le località interessate dalla frequentazione di gruppi di musteriani sono, nella quasi totalità dei casi, distribuite sui primi rilievi posti al margine della grande pianura alluvionale del Po. In particolare essi sono concentrati nel territorio veronese (Monti Lessini) e vicentino (Monti Berici), dove numerose sono le grotte e frequenti i ripari sotto roccia. A questo proposito, si ricordino le seguenti località: Riparo Tagliente, Riparo Mezzena, Riparo Zampieri, Grotta A di Veia, Grotta della Ghiacciaia e Riparo di Fumane in provincia di Verona e Grotta del Broion e le grotte Maggiore e Minore di S. Bernardino in provincia di Vicenza. I giacimenti preistorici menzionati sono caratterizzati, in genere, da imponenti depositi archeologici che si sviluppano con serie stratigrafiche anche di vari metri. Le testimonianze della presenza umana si succedono abbondanti, spesso in modo ininterrotto, per lo più rappresentate da manufatti litici e da resti ossei degli animali cacciati dall’uomo.
La sequenza messa in luce nel Riparo Tagliente in Valpantena presso Verona rappresenta un valido riferimento per un inquadramento generale del Musteriano della valle Padana. Le industrie litiche del Paleolitico medio sono contenute in un deposito dello spessore complessivo di tre metri. Tre cicli principali sono stati riconosciuti nella storia della sua formazione; essi abbracciano un arco di tempo piuttosto lungo riferibile alla fase climatica Würm II.
Le industrie litiche, sempre ricavate dalla selce, si caratterizzano per la presenza della tecnica di scheggiatura Levallois, con un’incidenza più elevata nei livelli archeologici più antichi ed una progressiva diminuzione di questa tecnica in quelli più recenti. Tra le varie classi tipologiche degli strumenti, quella dei raschiatoi risulta essere la classe che incide maggiormente.
La maggiore parte dei depositi citati con resti del Paleolitico medio del Veneto è riferibile a un Musteriano tipico, mentre l’industria litica della Grotta Maggiore di San Bernardino sui Colli Berici, riferibile cronologicamente alla fase climatica Würm I, presenta un carattere che l’avvicina al Charentiano. L’incidenza della tecnica Levallois è ridotta; gli strumenti sono di piccole dimensioni e comprendono molti tipi caratteristici del successivo Paleolitico superiore, quali bulini, grattatoi, troncature e becchi. I raschiatoi sono sempre numerosi, anche se nei livelli più recenti della sequenza stratigrafica riducono la loro incidenza a favore degli strumenti denticolati.
Il caso specifico delle località del Carso triestino che hanno restituito manufatti musteriani verrà trattato nel paragrafo dedicato al Paleolitico medio nel Friuli-Venezia Giulia.
La vita quotidiana dell’Homo Sapiens Neanderthalensis
La grande quantità di resti ossei di animali, presente nei depositi del Paleolitico medio, prova l’importanza fondamentale della caccia quale attività di sostentamento dell’uomo di Neanderthal. Durante i periodi con un clima più temperato, la composizione dei mammiferi cacciati riflette la varietà degli ambienti circostanti le località dove erano posti gli accampamenti. Gli studi dei resti ossei degli animali rivelano la presenza di specie diverse, tra le quali grandi pachidermi, equidi e cervidi; le prede cacciate dai Musteriani erano quindi in prevalenza erbivori. In condizioni di maggiore rigidità climatica, che si verifica soprattutto nel Würm II, la caccia tende a specializzarsi fino al punto di spingere alcuni gruppi musteriani a basare la loro economia e la loro cultura materiale sullo sfruttamento intensivo di una sola specie. Tale adattamento a particolari condizioni ambientali è ben documentato sia nel caso dei gruppi di cacciatori penetrati nelle regioni montane dell’Europa centrale e specializzatisi prevalentemente nella caccia all’orso delle caverne sia nel caso delle comunità musteriane delle regioni steppiche dell’Europa orientale dove la specializzazione della caccia si era orientata esclusivamente verso il mammut.
I metodi di caccia dei musteriani sono attualmente difficili da ricostruire. Si può ipotizzare che i cacciatori del Paleolitico medio praticassero sistematicamente la caccia collettiva, utilizzando come arma da getto, una lancia dotata di punta di pietra. Erano sicuramente impiegate nella caccia ad animali con comportamento gregario anche trappole costituite da rilievi naturali, quali dirupi e crepacci; gli animali di grande taglia invece venivano catturati spingendoli in terreni paludosi dove, dopo averli abbattuti, erano macellati.
Per alcune regioni, quale la Francia meridionale, è stata prospettata l’esistenza di territori di caccia definiti, entro i quali i Musteriani si spostavano ciclicamente da un abitato principale corrispondente al campo base ad altri secondari, usati come accampamenti temporanei frequentati stagionalmente. In regioni più ricche di risorse, il modo di vita potrebbe essere stato più sedentario.
Pochissimi sono i dati che si riferiscono al ruolo della raccolta dei vegetali, della raccolta dei molluschi e della pesca. L’alimentazione, a quanto si può affermare sulla base dei risultati degli studi sull’usura dentaria, era prevalentemente carnea. In alcuni siti costieri sono stati raccolti anche molluschi marini, ma solo per ricavarne degli strumenti.
Gli abitati dell’uomo di Neanderthal sono di vario tipo; anche se, rispetto al Paleolitico inferiore, quelli in grotta o sotto ripari rocciosi risultano più numerosi. Le cavità vennero probabilmente frequentate durante la stagione fredda, e i rigori della glaciazione würmiana giustificherebbero, almeno in parte, tale mutamento di abitudini. Queste sedi attestano spesso la presenza di strutture abitative diversificate con aree delimitate da blocchi di pietra con focolari al centro che dovrebbero costituire ciò che rimane delle capanne addossate alle pareti delle grotte e dei ripari. Nelle pianure dell’Europa centro-orientale sono frequenti invece gli accampamenti all’aperto con strutture abitative costituite da cumuli di ossa di mammut con andamento circolare che dovevano assicurare al suolo una probabile copertura di pelli .
L’approvvigionamento delle materie prime necessarie alla produzione degli strumenti litici avveniva di solito entro un raggio di 10-20 chilometri dagli accampamenti residenziali. Aree dove si lavorava la pietra (officine litiche) sono note sia nei pressi delle strutture abitative sia isolate, in prossimità degli affioramenti di selce.
Assieme alla selce alcuni gruppi musteriani hanno prodotto degli strumenti dalle materie dure animali: schegge appuntite d’osso sono state lavorate in modo da ricavare dei punteruoli; in altri casi i margini di schegge d’osso sono stati ritoccati, con metodi simili a quelli usati nella lavorazione della selce, ottenendone raschiatoi. In alcuni siti costieri della penisola italiana, come nelle caverne dei Balzi Rossi in Liguria, nella Grotta dei Moscerini nel Lazio e nelle grotte del Cavallo, di Uluzzo, Bernardini e di Serra Cicora nel Salento in Puglia, è attestata la presenza di raschiatoi ricavati dalle valve di conchiglie di Callista chiome.
Sepolture, cannibalismo ed astrazione dell’uomo di Neanderthal
Nel Paleolitico medio compaiono le prime testimonianze di riti funerari. Il culto dei morti da parte dell’Homo neanderthalensis è, infatti, ben documentato da un numero discreto di sepolture distribuite nell’Europa meridionale, nel Vicino e Medio Oriente; in particolare, sepolture intenzionali di individui di Neanderthal sono state messe in luce in grotte della Francia, dell’Iraq e della Palestina.
Le sepolture sono prevalentemente in fossa, sotto tumulo o in anfratti della parete della grotta; il corpo veniva deposto sul dorso o su un fianco con gli arti inferiori più o meno flessi. In alcuni casi la presenza di ossa di animali trovate presso lo scheletro umano sono state interpretate come un’offerta funeraria.
Di particolare importanza, quale testimonianza dell’attenzione riservata ai defunti dall’uomo di Neanderthal, è la sepoltura di nove scheletri, sette adulti e due bambini, rinvenuti nella Grotta di Shanidar in Iraq. In un caso un individuo maschile di 30-45 anni, deposto in posizione flessa entro un circolo di pietre, era disteso, in base a quanto rilevato dall’analisi dei pollini fossili, su un letto di fiori con i quali era stato anche ricoperto.
Relativamente al culto dei morti, oltre alle sepolture intenzionali, sono stati riconosciuti anche rituali particolari, quale l’usanza di conservare parti dello scheletro dei defunti. L’esempio classico è quello della Grotta Guattari a S. Felice Circeo nel Lazio . In un anfratto interno di questa grotta fu scoperto, al centro di un cerchio di pietre, il cranio di un neanderthaliano che presentava il foro occipitale allargato e rivolto verso l’alto. L’allargamento del forame, praticato per estrarne il cervello, è stato considerato la prova di un atto intenzionale di cannibalismo rituale. La recente riconsiderazione dei dati ha sollevato molti dubbi su questa interpretazione e ha prospettato l’ipotesi secondo la quale il cranio sarebbe stato introdotto nella grotta da carnivori che la frequentavano come tana. La disarticolazione e scarnificazione delle ossa umane e l’estrazione del midollo osseo, attestate ad esempio a Krapina in Croazia e nella Grotta dell’Hortus in Francia, proverebbero invece che una forma di cannibalismo era praticata da parte dell’uomo di Neanderthal.
Il rinvenimento di resti di orsi sepolti sotto tumuli, in ciste litiche o in fosse ricoperte da lastre hanno portato alcuni studiosi a ipotizzare un vero e proprio culto dell’orso praticato dai Musteriani. Tali interpretazioni vanno però assunte con cautela, anche se è innegabile che questo animale abbia assunto in determinate regioni dell’Europa un ruolo di un certo rilievo nella sussistenza e nella cultura materiale dei neanderthaliani. Senza voler postulare quindi una vera e propria religione dell’orso sembra evidente che questo plantigrado dovesse ricevere una certa importanza anche nella cultura spirituale dei Musteriani, specialmente nelle aree dove la caccia a questo animale era più intensa.
Prove archeologiche di comportamenti simbolici o attestanti una certa astrazione sono il rinvenimento in strati riferibili all’ultima fase del Musteriano di sostanze coloranti o di oggetti tinti con ocra, di fossili e minerali raccolti al di fuori dell’accampamento e di ossa incise con motivi geometrici (linee parallele, zig-zag). Si deve infine segnalare il rinvenimento nella Grotta di Divje Babe I in Slovenia di un frammento di femore di orso delle caverne con tre fori artificiali che lo scopritore interpreta come flauto. Se questo oggetto è una forma di flauto primordiale ciò prova che l’uomo di Neanderthal era in grado di concepire e creare dei suoni musicali e tale ipotesi proverebbe che l’invenzione della musica è molto più antica di quanto si pensi.
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