La comparsa dell’Homo Sapiens Sapiens
Il Paleolitico superiore viene comunemente collegato alla diffusione dell’Homo sapiens sapiens.
Il problema della reale determinazione del limite tra Paleolitico medio e superiore interessa la comparsa di gruppi umani con caratteristiche fisiche simili a quelle dell’uomo attuale. La discussione è centrata su due tesi opposte: quella di un’origine africana recente dell’Homo sapiens sapiens che mediante una migrazione verso nord-est avrebbe popolato il resto del Vecchio Mondo (modello della sostituzione) e quella di un’origine antica attraverso una lenta evoluzione dalle forme precedenti in Africa, in Asia e in Europa (modello multiregionale). La collocazione cronologica e geografica dei resti più antichi di uomo moderno sembra dare più credito alla prima tesi.
I risultati di una recente analisi genetica condotta su 147 popolazioni attuali confermerebbero il modello della sostituzione. 133 popolazioni di questo campione presentano infatti tipi di DNA mitondriale derivati per mutazioni successive da un unico ceppo, che varie considerazioni ritengono africano. La comparsa di questo comune progenitore di un uomo geneticamente moderno, che potremmo identificare con una ipotetica Eva africana, poiché il DNA mitocondriale si trasmette lungo la linea femminile, è collocata tra 290.000 e 140.000 anni fa nelle regioni dell’Africa centro-meridionali. La sua prima migrazione fuori dai territori africani sarebbe quindi avvenuta tra 180.000 e 90.000 anni fa, in tale modo i dati che attribuiscono circa 100.000 anni ai più antichi reperti di Homo sapiens sapiens della Palestina e meno di 40.000 anni a quelli più antichi europei confermerebbero quanto ottenuto dai risultati della ricerca genetica.
Resta da stabilire dove e quando l’uomo moderno abbia sviluppato l’insieme dei comportamenti che lo differenziano da quelli dell’uomo di Neanderthal. In Europa, parallelamente all’estinzione dei Neanderthaliani e alla comparsa dei primi uomini moderni, si realizza il passaggio dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore, caratterizzato da mutamenti comportamentali che interessano il modo di vita, le strutture abitative, l’economia, l’organizzazione sociale e la spiritualità. I due fenomeni, biologico e culturale sono in stretta connessione: il Musteriano, inteso come l’insieme dei complessi del Paleolitico medio, è espressione dell’uomo di Neanderthal; l’Aurignaziano, primo complesso del Paleolitico superiore, è la prima evidente testimonianza dell’Homo sapiens sapiens.
Le più recenti scoperte hanno tuttavia dimostrato che i complessi più arcaici dell’Europa occidentale tradizionalmente attribuiti all’inizio del Paleolitico superiore, quali il Castelperroniano in Francia e nella Spagna nord-occidentale e l’Uluzziano nell’Italia centro-meridionale, appaiono in continuità con gli ultimi aspetti del Musteriano riferibili ancora a gruppi di Neanderthaliani di cui rappresentano le ultime manifestazioni culturali.
In Europa il passaggio dal Musteriano all’Aurignaziano è sempre brusco nelle regioni in cui questo primo complesso del Paleolitico superiore compare precocemente; in aree marginali invece si interpongono i cosiddetti complessi di transizione, quali il Castelperroniano e l’Uluzziano. Le più antiche datazioni di località dell’Europa meridionale con presenze aurignaziane sono attestate nella Penisola balcanica (39.000-35.000 anni fa), nell’Italia settentrionale, in Veneto e Liguria (38.000-35.000 anni fa), in Spagna nella Catalogna attorno a 39.000-38.000 anni da oggi e in Francia nella Dordogna tra 34.000-33.000 anni fa. Sembra che l’uomo moderno sia comparso in un momento precoce nelle regioni meridionali dell’Europa e da qui si sia poi diffuso verso le regioni centrali e verso i territori dell’Europa occidentale-atlantica.
Le caratteristiche fisiche dell’Homo sapiens sapiens
Come è stato indicato in precedenza il periodo glaciale di Würm è caratterizzato da due stadi freddi separati da una lunga fase più temperata (che si protrae tra 50.000 e 25.000 anni fa), durante la prima parte del quale l’uomo di Neanderthal scomparve dall’Europa e fu sostituito dall’uomo moderno. I rapporti cronologici e genetici tra queste due sottospecie non sono ancora chiari, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che i neanderthaliani rappresentino una forma troppo specializzata per dare origine in poche migliaia di anni all’uomo moderno. L’Homo sapiens sapiens potrebbe pertanto essere comparso in Europa per migrazione da territori diversi del Vicino Oriente.
Il nuovo tipo umano si diffonde in tutti i continenti, anche in Australia e nelle Americhe; rispetto alle forme precedenti si differenzia per il cranio alto, l’assenza del toro sopraorbitario, la fronte diritta, la faccia piatta, il mento prominente, l’occipitale arrotondato, la statura più alta e una diversa proporzione tra gli arti. Come prototipo di questo nuovo tipo umano è stato considerato l’individuo "anziano", di circa 50 anni d’età, rinvenuto nel 1868 nel riparo di Cro-Magnon in Dordogna (Francia), che ha dato il nome ai resti più antichi di Homo sapiens sapiens.
Le innovazioni comportamentali dell’uomo moderno investono tutte le sfere della sua attività quotidiana e spirituale. Tali comportamenti, che solo in pochi casi erano già attestati nell’uomo di Neanderthal, sembrano avere origine dalle nuove e più complesse facoltà cerebrali dell’Homo sapiens sapiens, che consentirono lo sviluppo del linguaggio articolato e di capacità simboliche e cognitive.
Con l’uomo moderno il processo di encefalizzazione giunge al suo culmine e il nostro cervello raggiunge un volume compreso in media tra 1.500 e 1.600 cc. Si tratta di un organo dalle dimensioni notevoli in relazione alle dimensioni corporee complessive e che necessita di un apporto energetico altrettanto ragguardevole. L’ampliamento delle capacità intellettive non dipende naturalmente solo dal volume metrico del cervello, ma anche dai suoi processi di riorganizzazione interna. L’espansione del volume inoltre non è uniforme, ma interessa alcune aree particolari come ad esempio quella destinata alle capacità associative e linguistiche. La particolare architettura cranica dell’Homo sapiens arcaico e dell’Homo sapiens moderno può aver consentito lo sviluppo della parte frontale del cervello destinata all’elaborazione di tali capacità.
Una volta che il linguaggio e le capacità cognitive simboliche sono entrate a fare parte dell’universo umano ne deriva una conseguenza di portata incalcolabile: la possibilità di trasmissione per via non genetica del patrimonio di conoscenze, di capacità tecniche, di modi di vita e di sapere rituale da una generazione all’altra. Tale trasmissione non biologica delle capacità acquisite risulta così il punto di partenza dell’evoluzione culturale.
Nessun mutamento di carattere biologico ed anatomico ci differenzia dall’Homo sapiens sapiens di 40.000-35.000 anni fa. È superfluo sottolineare quanto comportamenti, modi di organizzazione sociale e abitudini di vita si siano succeduti e modificati nell’arco di tempo che ci divide dalle fasi più antiche del Paleolitico superiore e come queste modificazioni siano la conseguenza dell’evoluzione culturale che ha segnato la nostra storia, ma che potrà subire anche dei nuovi cambiamenti nel corso del suo sviluppo futuro.
Cronologia del Paleolitico superiore europeo
I complessi del Paleolitico superiore europeo si sviluppano nella parte recente dell’interstadio würmiano, nel II Pleniglaciale e nel Tardiglaciale, lungo un arco cronologico compreso tra 35.000 e 10.000 anni circa da oggi . L’Aurignaziano è, come abbiamo visto, il primo complesso europeo espressione dell’Homo sapiens sapiens che, affermatosi in vario modo tra 39/38.000 e 33.000 anni fa, termina attorno a 26.000 anni dal presente.
Ad esso segue in tutta Europa il Gravettiano, che si afferma durante il II Pleniglaciale fino alla fase fredda caratterizzata dall’acme glaciale attorno a 20.000 anni fa. L’abbassamento generale della temperatura determina un estensione delle grandi masse delle nevi e dei ghiacci presenti nelle catene montagnose europee che vanno a costituire così delle barriere naturali tra regioni vicine. I complessi che si affermano durante questa fase climatica subiscono, anche forse a conseguenza di ciò, una netta differenziazione culturale.
Nell’area occidentale atlantica si sviluppa dapprima il Solutreano, compreso tra 20.000 e 18.000 anni da oggi a cui segue il Maddaleniano, tra 18.000 e circa 11.000 anni fa; nella penisola iberica, italiana e balcanica e nell’Europa orientale le tradizioni gravettiane regionali persistono fino al Tardiglaciale würmiano, dando origine ai complessi epigravettiani. L’Epigravettiano italico è suddiviso in una fase antica, corrispondente all’ultima fase del Pleniglaciale (all’incirca tra 20.000 e 15.000 anni da oggi), e in due ulteriori fasi, un momento evoluto ed uno finale, che corrispondono al Tardiglaciale würmiano (tra 15.000 e 10.000 anni fa). La fine della glaciazione würmiana è fissata per convenzione a 10.000 anni da oggi, data che corrisponde in cronologia radiocarbonica calibrata a 8050 ± 150 anni a.C. Questo limite cronologico non solo segna la fine del Paleolitico superiore e il passaggio al successivo Mesolitico, ma coincide anche con il limite tra il Pleistocene e l’Olocene che si riferisce al momento in cui il ritiro della calotta glaciale consentì l’entrata dell’acqua salata del Mare del Nord nell’area del Baltico.
Ambiente e territorio durante il Paleolitico superiore nell’Italia settentrionale
Durante la glaciazione di Würm, in conseguenza della regressione marina, la configurazione del territorio era ben diversa dall’attuale, e la possibilità di contatti e di scambi tra la penisola italiana e parte di quella balcanica era ben maggiori .
Nell’Interpleniglaciale, fase calda dell’era glaciale che si estende tra 50.000 e 25.000 anni dal presente, le aree interessate dalla presenza dei ghiacciai erano un po’ più estese delle attuali, poiché nelle regioni montuose il limite delle nevi perenni era un centinaio di metri più basso di quello odierno. Le linee di costa si trovavano circa venti metri più in basso di quelle attuali. Il clima era generalmente freddo e arido, con dei momenti moderatamente più temperati e umidi.
Il II Pleniglaciale würmiano, tra 25.000 e 15.000 anni da oggi, segna un generale irrigidimento climatico che culminerà verso 20.000 anni fa con l’acme glaciale in cui i ghiacciai continentali dell’Europa settentrionale e i ghiacciai alpini raggiungeranno la massima espansione. La ritenzione di un’enorme massa d’acqua (regressione marina) determina un abbassamento generale dei mari di circa 120 metri al di sotto del livello odierno. A conseguenza di ciò, tutto l’Alto Adriatico emerse e la Pianura Padana si estese fino alle Alpi Giulie, al Carso, alle pendici dei rilievi istriani e alle Alpi Dinariche. A nord di questa grande pianura, la cui linea di costa più meridionale si estendeva tra Ancora e Zara, le Prealpi Venete, le Alpi Dolomitiche e Carniche e le Caravanche in Slovenia furono intensamente ricoperte dalle masse nevose perenni, mentre le Alpi Giulie e Dinariche, caratterizzate da rilievi meno elevati, non costituirono una barriera naturale tra le regioni balcaniche e quelle mediterranee.
Nel Pleniglaciale il clima, generalmente freddo e con tendenza a divenire sempre più continentale (con temperature medie estremamente rigide nel mese di gennaio e relativamente alte in luglio) e arido determina, attorno alle aree glacializzate, la formazione di un paesaggio di tundra e più a sud di steppe fredde e di steppe arborate. Nelle aree più lontane dalle masse dei ghiacciai prevale una foresta di conifere, mentre la foresta mista è confinata in ristrette aree di rifugio. Le influenze continentali-balcaniche dovettero essere particolarmente marcate nelle regioni alto adriatiche della penisola italiana come è confermato dalla presenza di mammiferi, quali il mammut, il bisonte e la lepre fischiante.
Il ritiro definitivo delle masse glaciali dalle regioni dell’Europa settentrionale in relazione a un lento, ma progressivo innalzamento della temperatura, segna l’inizio del Tardiglaciale würmiano. Durante il Tardiglaciale, che interessa un arco cronologico compreso tra 15.000 e 10.000 anni dal presente, vengono distinte delle fasi a clima freddo e arido (Dryas I-III) intervallate da momenti temperato-umidi (Pre-Bølling, Bølling e Allerød), nel corso dei quali la vegetazione, gli animali e quindi anche l’uomo si diffondono nuovamente in territori in cui in precedenza era impossibile accedere, come ad esempio nell’ambiente montano.
Il Paleolitico superiore nell’Italia nord-orientale
L’Aurignaziano è segnalato nel Veneto nei Monti Lessini, nella Grotta di Fumane e al Riparo Tagliente, nei Colli Berici, nella Grotta di Paina, in area prealpina e nelle Dolomiti Venete sul Monte Avena a 1430 metri di quota. Nella vicina Slovenia sono inoltre note alcune località che attestano la frequentazione aurignaziana nelle Caravanche, nelle grotte di Poto?ka Zijalka a 1.700 metri di quota e di Mokriška a 1.500 metri, e nell’altopiano di Šebrelje nella Grotta di Divje Babe.
L’Aurignaziano più antico del Veneto presenta delle industrie litiche che si differenziano nettamente da quelle del precedente Musteriano, a partire dal modo di sfruttamento della materia prima, nelle modalità di preparazione dei nuclei, e dalla morfologia dei prodotti della scheggiatura (lame), fino alle forme degli strumenti e delle armature . Esso mostra degli aspetti innovativi anche dal punto di vista comportamentale, quali la presenza di strumenti ricavati dal corno o dall'osso, di oggetti ornamentali e di oggetti decorati. Nella Grotta di Fumane, dove i più antichi livelli aurignaziani hanno un’età superiore ai 35.000 anni, anche le strutture abitative presentano caratteristiche nuove; tali elementi portano quindi a sottolineare la mancanza di una continuità tra Musteriano finale e Aurignaziano, confermando la constatazione di netta rottura nella cultura materiale dei due complessi.
Gli insiemi aurignaziani del Riparo Tagliente e della Grotta di Paina sembrano appartenere al medesimo complesso; tuttavia il forte inquinamento dello strato del primo, sia dal Musteriano sottostante sia dall’Epigravettiano che si sovrappone nella stratigrafia, e l’esiguità numerica dei reperti rinvenuti nel secondo non consentono ulteriori considerazioni.
Nella sezione più orientale delle Alpi, le Caravanche, i depositi delle grotte Poto?ka e Mokriška hanno messo in evidenza più livelli di occupazione aurignaziana. I complessi di queste due cavità delle alpi slovene sono caratterizzati nella cultura materiale oltre che dagli strumenti litici tipici dell’Auriganziano anche da un numero cospicuo di punte d’osso. I resti faunistici indicano che i cacciatori aurignaziani frequentavano ambienti al limite tra bosco e prateria alpina. Delle tre località slovene con presenze aurignaziane l’unica che è stata datata è la Grotta di Divje Babe, cui è stata attribuita un’età di circa 35.000 anni dal presente. I ritrovamenti della Slovenia, riferibili a un momento successivo rispetto a quelli del Veneto e privi di riscontri diretti con essi, sono attribuibili a un’Aurignaziano classico.
Se si accetta la tesi di una formazione dell’Aurignaziano nell’area balcanico-danubiana, e della sua successiva diffusione verso occidente, le località venete potrebbero indicare un percorso di questa diffusione lungo una direttrice sudalpina. Presenze riferibili a questa prima fase aurignaziana e contemporanee, o di poco successive, a quelle venete sono inoltre attestate al Riparo Mochi in Liguria. Tale constatazione spiegherebbe inoltre la precoce comparsa dell’Aurignaziano in Provenza e in Linguadoca, rispetto ad altre regioni della Francia.
I rinvenimenti gravettiani ed epigravettiani antichi, collocabili cronologicamente tra 25.000 e 15.000 anni dal presente, sono circoscritti a tre grotte dei Colli Berici nel Veneto, dove sono limitati a pochi manufatti. Le analisi dei pollini fossili e dei resti faunistici hanno messo in evidenza come gli ambienti del Gravettiano e dell’Epigravettiano antico siano associati a paesaggi steppici, freddi e aridi.
I dati relativi al Gravettiano sono purtroppo ancora scarsi perché si possano fare considerazioni che non si limitino a registrare la presenza di questi complessi sia nel Veneto sia nella vicina Slovenia. I confronti tra le industrie litiche dei due territori sono invece più puntuali durante l’Epigravettiano antico, in particolare per la tipologia delle armi da getto che caratterizzano questa fase. È interessante sottolineare come nelle due aree le prede cacciate dai cacciatori epigravettiani siano differenziate. Nei siti veneti gli animali che incidono maggiormente tra i resti faunistici sono l’alce, lo stambecco, il cervo e forse la marmotta, mentre in quelli sloveni la cacciagione sembra prevalentemente orientata verso la renna.
La relativa frequenza e la qualità dei ritrovamenti della fine del Paleolitico superiore, che si colloca nel Tardiglaciale würmiano, tra 15.000 e 10.000 anni dal presente, consentono di stabilire le linee fondamentali dell’evoluzione della cultura materiale dell’Epigravettiano evoluto e finale nei territori dell’Italia nord-orientale .
La sequenza cui si fa riferimento è quella messa in luce dalla stratigrafia del Riparo Tagliente in Valpantena nei Monti Lessini. Le datazioni radiometriche e i dati paleoambientali collocano la parte più recente della stratigrafia del Riparo Tagliente in un lasso di tempo compreso tra la fase climatica fredda del Dryas Ib e l’oscillazione di Allerød, in termini di cronologia assoluta tra 13.700 e 10.900 anni dal presente. Altri ritrovamenti, costituiti da industrie che per le loro caratteristiche possono essere inquadrate nella sequenza del Riparo Tagliente oppure posso essere considerate posteriori, estendono la successione dei complessi epigravettiani fino alla fine del Dryas III, all’incirca fino a 10.200 anni da oggi.
Resti epigravettiani importanti, oltre a quelli del Riparo Tagliente, sono stati individuati nelle grotte del Ponte di Veia anch’esso nei Monti Lessini, nel Riparo Battaglia e ai Fiorentini negli altopiani vicentini, in alcune località montane del Trentino, quali Le Viotte del Monte Bondone, Terlago e Andalo, nel Riparo Soman in Val d’Adige e nei Ripari Villabruna nella Valle del Cismon. Nel Friuli possiamo citare le località con resti epigravettiani, quali Piancavallo, le Grotte Verdi di Pradis e il Bus de la Lum in provincia di Pordenone e il Riparo di Biarzo nella Valle del Natisone in provincia di Udine.
Le industrie litiche trovate in queste località hanno permesso di ricostruire la sequenza dell’Epigravettiano italico dell’Italia nord-orientale. La successione cronologico-culturale dell’Epigravettiano è suddivisa in tre fasi. Essa è stata elaborata in base alla serie dei livelli più antichi (16-11) del Riparo Tagliente, alla serie dei livelli più recenti dello stesso riparo (10-4) e all’esistenza di un momento più recente, non presente al Riparo Tagliente, ma documentato in alcuni siti del Trentino e del Friuli.
La fase più antica dell’Epigravettiano italico dell’Italia nord-orientale, presenta un paesaggio steppico con vegetazione pioniera di clima freddo e arido che corrisponde nei momenti iniziali al Dryas Ib, è caratterizzata da un’industria litica in cui prevalgono i bulini sui grattatoi ed abbondano le troncature e le punte a dorso (microgravettes). I resti faunistici rivelano la predominanza dello stambecco sull’alce e sui bovidi. Questa fase, presente solo al Riparo Tagliente nei livelli 16-11, può essere attribuita ancora ad un Epigravettiano evoluto anche se, in base alle datazioni radiometriche disponibili, può essere inserita invece nell’Epigravettiano finale.
La seconda fase, che si evolve durante le oscillazioni climatiche di Bølling e di Allerød, è caratterizzata da un’industria litica in cui prevalgono i grattatoi sui bulini, diminuiscono le troncature e le punte a dorso e compaiono per la prima volta i geometrici. L’ambiente evolve verso una prateria arborata a conifere e caducifoglie, mentre gli animali più cacciati in questo tipo di paesaggio sono il cervo, il capriolo, il cinghiale e il camoscio. A questa seconda fase, presente nei livelli 10-4 del Riparo Tagliente, sono inoltre attribuiti i siti dei Fiorentini, del Riparo Battaglia e delle Grotte Verdi di Pradis. Questi insediamenti sono riferiti a un pieno Epigravettiano finale. Durante la fase climatica di Allerød, tra 11.700 e 10.900 anni dal presente, i cacciatori epigravettiani cominciano a penetrare nella montagna medio-bassa delle Prealpi, ponendo i loro accampamenti all’aperto in prossimità di zone umide o in ripari, tra i 1.000 e 1.600 metri di quota.
Nella terza fase, documentata a Le Viotte di Bondone, Terlago e Andalo in Trentino e a Piancavallo e nel Riparo di Biarzo in Friuli, prevalgono ancora i grattatoi sui bulini; incrementa inoltre l’incidenza dei dorsi e troncatura. Uno sviluppo delle armature geometriche, della tecnica del microbulino nella fabbricazione dei geometrici e dei manufatti di piccole e piccolissime dimensioni (microlitismo) caratterizza questo ultimo momento dell’Epigravettiano finale collocato tra la fine del Dryas III e l'inizio del Preboreale, tra 10.500 e 9.900 anni dal presente.
Nei siti sloveni i mutamenti climatici del Tardiglaciale portano a una modificazione dell’ambiente che vede la scomparsa della renna, sostituita dal cervo e dal capriolo. Le industrie litiche presentano un’evoluzione simile a quella riscontrata nell’Italia nord-orientale.
La vita quotidiana durante il Paleolitico superiore
Durante il Paleolitico superiore l’economia è ancora fortemente incentrata sulla caccia. La differenziazione ambientale che si verifica durante il II Pleniglaciale, tra 50.000 e 25.000 anni fa, determina una diversificazione dei modi sostentamento dei gruppi di cacciatori-raccoglitori in relazione alle diverse risorse disponibili. Nell’Europa occidentale la renna diviene la preda dominante, mentre nelle regioni mediterranee la composizione della fauna appare varia e differenziata in base alle specifiche caratteristiche ambientali.
Nella fase finale dell’Epigravettiano i mutamenti climatici determinati dalla fine dell’era glaciale consentirono la diffusione del bosco fino a quote prossime a quelle attuali. Tali nuove condizioni ambientali permisero alle bande di cacciatori che vivevano in pianura e nella fascia prealpina dell’Italia settentrionale di spingersi alla ricerca delle loro prede fino a quote sempre più elevate. Gli spostamenti avvenivano su base stagionale, passando dai campi invernali situati in grotte e ripari delle Prealpi o nelle grandi valli alpine, la Valle dell’Adige ad esempio, a insediamenti estivi situati nella media montagna, tra 1.000 e 1.600 metri di quota. Questi accampamenti estivi, posti all’aperto o sotto piccoli ripari di grandi massi, vicino a laghetti e pozze d’acqua, servivano alla caccia a cervi e stambecchi che migravano stagionalmente in senso altitudinale verso le praterie poste al di sopra del limite del bosco.
Le tecniche di caccia nella fase più antica del Paleolitico superiore erano probabilmente analoghe a quelle del Paleolitico medio; le armi più comunemente usate erano ancora lance, munite ora anche di punte di osso o di avorio. Nella fase più evoluta alle zagaglie si associano gli arponi, utilizzati anche nelle attività di pesca.
Durante questo periodo si perfezionano inoltre i sistemi di immanicatura delle armi da getto e si sviluppa la pratica, che verrà ampiamente adottata nel Mesolitico, di fissare elementi litici di piccole dimensioni in serie (armature) su un’asta di legno o di osso usata come arma da getto. Il Paleolitico superiore vede anche l’invenzione di un congegno atto a scagliare le lance con maggiore efficacia e potenza: questo nuovo strumento è il propulsore . Non è invece accertato l’uso dell’arco, anche se alcune rappresentazioni artistiche ne potrebbero suggerire la comparsa.
La raccolta e la pesca sono documentati nel territorio europeo fin dalla fase più antica del Paleolitico superiore, in particolare nelle regioni mediterranee, dove la raccolta di molluschi marini si intensifica nell’Epigravettiano finale, come è attestato dai cumuli di conchiglie (chiocciolai) presenti in numerose località situate in prossimità delle coste.
Durante il Paleolitico superiore l’insediamento tipo è prevalentemente in grotta o in ripari sotto roccia; nell’Europa centro-orientale sono invece noti numerosi accampamenti all’aperto. Nell‘ambito degli accampamenti ve ne sono alcuni più semplici con una o due abitazioni, ed altri più complessi, con una notevole quantità di strutture. Questi abitati sono costituiti tende o capanne, sia seminterrate sia al livello del suolo, a pianta circolare od ovale.
La presenza di aree specifiche destinate alla lavorazione della selce o di altre rocce dure all’interno degli abitati suggerisce una divisione del lavoro, determinata dall’abilità di alcuni individui del gruppo nella fabbricazione di particolari strumenti litici. Anche la realizzazione delle grandi opere d’arte parietale potrebbe essere attribuita ad artigiani specializzati mantenuti da ampie collettività. Pare probabile che persone addette a pratiche di culto o a pratiche magiche, con funzioni simili a quelle degli sciamani, godessero di una posizione privilegiata nella comunità.
L’indicazione della mobilità dei gruppi di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore può essere determinata, oltre che dai territori sfruttati stagionalmente durante le battute di caccia, anche dal rinvenimento di particolari materie prime usate nella fabbricazione degli utensili, da conchiglie fossili o marine impiegate come ornamenti e da altri reperti di varia natura provenienti da località situate a grande distanza dagli accampamenti. Queste presenze, che alle volte provano distanze anche di centinaia di chilometri, possono essere state il risultato di lunghe migrazioni o di contatti occasionali tra gruppi diversi, almeno nella fase più antica del Paleolitico superiore. La continuità di approvvigionamento di una determinata materia prima, durante un momento più avanzato del Paleolitico superiore, prova invece l’esistenza di scambi realizzati attraverso contatti sistematici tra gruppi diversi o spedizioni ripetute alla località di estrazione o di raccolta.
Le pratiche funerarie
Le testimonianze di sepolture del Paleolitico superiore sono molto più abbondanti di quelle del Paleolitico medio. Esse mostrano una notevole varietà di riti, una più complessa struttura delle sepolture e certa è la funzione di corredo degli oggetti associati ai defunti.
I cadaveri sono stati deposti in fosse appositamente scavate, più o meno profonde, in posizione allungata (supina), fortemente rattratta o leggermente ripiegata. La maggior parte delle sepolture presentano un corredo, costituito prevalentemente da strumenti litici, generalmente di pregevole fattura, da manufatti in osso e corno, quali bastoni forati e zagaglie, da oggetti ornamentali, quali conchiglie forate, denti di animali anch’essi con foro di sospensione, vaghi in pietra e in osso, vertebre di piccoli mammiferi e di pesci. Tali oggetti potevano formare collane, bracciali, cavigliere, copricapi e talvolta associati in vario modo ornavano le vesti.
Frequente è l’uso di ocra rossa, con cui veniva cosparso il fondo della fossa o il corpo dell’inumato. In qualche caso venivano collocati dei blocchi o lastre di pietra in corrispondenza della testa o di altre parti del corpo.
La maggior parte delle sepolture del Paleolitico superiore sono ritrovamenti isolati, in rari casi si tratta di sepolture bisome di due individui, mentre nella parte finale di questo periodo il rinvenimento di numerose sepolture concentrate in un’area riservata specificamente ad esse, suggeriscono l’esistenza di vere e proprie necropoli. In questo senso possono essere interpretati alcuni rinvenimenti fatti in Italia in depositi attribuibili all’Epigravettiano finale, come ad esempio le quindici sepolture delle Arene Candide in Liguria, le quattro sepolture della grotta del Romito in Calabria e le cinque sepolture della Grotta di San Teodoro in Sicilia.
Le manifestazioni artistiche del Paleolitico superiore
I cacciatori del Paleolitico superiore hanno prodotto un numero molto elevato di opere d’arte, che in circostanze favorevoli si sono preservate sino ai nostri giorni. Tradizionalmente si distingue tra una produzione d’arte mobiliare e una produzione d’arte parietale . Le manifestazioni artistiche paleolitiche hanno avuto una vasta diffusione nel continente europeo, penetrando nelle regioni orientali talvolta fino nei territori siberiani.
Gli oggetti d’arte mobiliare sono stati ricavati da supporti ottenuti da ciottoli, lastre e blocchi di pietra o ricavati dall’osso, avorio e corno ed eccezionalmente dal legno che sono stati incisi, scolpiti o dipinti; più raramente sono stati modellati con l’argilla e quindi cotti. Essa è nota in tutte le regioni europee ove vi siano testimonianze del Paleolitico superiore; giacché gli oggetti d’arte mobiliare sono spesso rinvenuti durante gli scavi archeologici, essi sono quindi riferibili a un preciso contesto cronologico e culturale. L’arte mobiliare è documentata in numerosi paesi, con frequenza maggiore nella Francia sud-occidentale e nei Pirenei, in Moravia e nella Russia centrale.
L’arte parietale, limitata alle regioni con grotte e ripari sotto roccia, è maggiormente concentrata nell’area franco-cantabrica tra Francia centro-meridionale e Spagna settentrionale, anche se alcune località con testimonianze artistiche sono note in Italia meridionale, Portogallo, Romania e Russia.
Le tecniche di realizzazione delle incisioni e delle pitture parietali sono varie. In tutte le età sono state utilizzate l’incisione, il bassorilievo e la scultura a tutto tondo, mentre la martellinatura è limitata all’Auriganziano. In taluni casi è stata adottata la tecnica della raschiatura della superficie argillosa delle pareti, creando effetti di contrasto tra la superficie più scura dell’argilla e quella più chiara delle pareti calcaree. Frequentemente sono state utilizzate come supporto delle opere d’arte parietale anche morfologie naturali di massi o pareti delle grotte. Nella pittura sono stati usati soprattutto ossidi di ferro (ocra gialla, rossa e violetta), ossidi di manganese (nero), carbone (nero) sotto forma di matita o di polvere applicati con spatole e pennelli.
Problematica appare l’attribuzione delle opere d’arte parietale, generalmente realizzate nelle parti più interne delle grotte lontane dalle aree abitative poste all’ingresso e quindi distanti dai depositi archeologici. Solo in rari casi le opere d’arte sono apparse ricoperte da un deposito, la cui attribuzione cronologica ne ha consentito una datazione. Ad eccezione di questi casi, l’inquadramento cronologico delle opere d’arte rupestre può essere realizzato solo con l’analisi stilistica, attraverso il confronto con i pochi documenti parietali e gli oggetti d’arte mobiliare databili.
Su base stilistica dei siti dell’area franco-cantabrica sono stati distinti: un periodo pre-figurativo, corrispondente al Castelperroniano, nel quale la produzione artistica è limitata a bande di tratti incisi; un periodo primitivo, riferibile all’Aurignaziano e Gravettiano, nel corso del quale compaiono le prime opere figurative, sia mobiliari sia parietali; un periodo arcaico, attribuito al Solutreano e Maddalenniano antico, al quale risalgono gli insiemi di grandi blocchi scolpiti e i maggiori complessi di pitture e incisioni parietali; un periodo classico, attribuito al Maddaleniano recente, con la ricchissima produzione mobiliare, i grandi fregi scolpiti e molte grotte dipinte e incise. Con la fine del Paleolitico superiore l’arte decade rapidamente.
I temi trattati dall’arte parietale sono in prevalenza naturalistici; riproducono vari tipi di mammiferi (quali mammut, cavalli, bisonti, uri, cervi, renne, stambecchi, camosci, cinghiali, leoni, lupi e orsi), pesci (salmoni e trote), anguille, rettili. Accanto ad essi si devono ricordare animali immaginari, quali il liocorno. Tra le figure umane, nettamente inferiori nell’incidenza, vi sono: figure maschili e femminili, figure di genitali femminili, mani riprodotte sia in negativo sia in positivo e figure in parte umane in parte animali. La terza categoria di figure riguarda i cosiddetti segni: punti, tratti lineari, claviformi, frecce, scutiformi, tettiformi e rettangoli campiti.
Le associazioni di figure documentate nell’arte parietale hanno avuto varie interpretazioni. Due sono quelle principali: la presenza di scene di caccia (con animali feriti da giavellotti o da frecce, animali catturati in trappola), di accoppiamento e di morte ha portato alcuni studiosi ad attribuire a quest’arte una valenza magica, rivolta a propiziare la caccia, la riproduzione degli animali e la fertilità umana; altri ricercatori hanno sostenuto invece il significato simbolico delle rappresentazioni, che non sarebbero quindi delle semplici scene evocatrici di fatti reali o accaduti, ma associazioni di simboli riprodotti secondo un determinato sistema di significato.
L’Italia è situata relativamente ai margini rispetto al fenomeno dell’arte dei cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore. La gran parte dell’arte parietale paleolitica italiana è concentrata in due grotte della Puglia (Paglicci, Romanelli), nella Grotta Genovesi nelle isole Egadi, in alcune grotte della Sicilia (Niscemi, dell’Addaura, della Za Minica, dei Puntali e Racchio), nel Riparo del Romito in Calabria e nelle Grotte dei Balzi Rossi in Liguria. Gli animali maggiormente rappresentati sono equidi, bovidi e cervidi; nel caso della Grotta dell’Addaura è presente una scena eccezionale riproducente una decina di personaggi maschili in atteggiamenti vari che sembrano partecipare a una danza o a un rito di iniziazione.
Per quanto riguarda l’arte mobiliare sono note diverse figurine femminili, dette veneri, rinvenute in varie località italiane. Le caratteristiche tipologiche sono quelle peculiari di queste piccole sculture che si ritrovano nel resto d’Europa: testa poco definita, braccia appena accennate, masse adipose sviluppate con seni, ventre e glutei molto in evidenza. Le altre manifestazioni di oggetti d’arte mobiliare possono essere suddivise in due categorie: graffiti e dipinti di animali e graffiti e dipinti geometrici. Normalmente le rappresentazioni sono su pietra e, in misura minore, su osso. Tra le figure animali predominano i bovidi, equidi e cervidi, anche se non mancano rappresentazioni di felini, lupi, lepri e uccelli; raramente è documentata la figura umana. Molto più abbondanti sono invece le raffigurazioni di motivi geometrici su ciottoli o lastre di pietra e su supporti d’osso; in alcuni rari casi i motivi sono dipinti.
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