Paradiso: Parafrasi XI Canto - Studentville

Paradiso: Parafrasi XI Canto

Parafrasi.

O stolta preoccupazione dei mortali, quanto sono erronei quei ragionamenti che vi fanno volgere alle cose terrene!
Chi se

ne andava dietro alla giurisprudenza, e chi dietro alla medicina, e chi inseguiva i benefici ecclesiastici, e chi cercava di

dominare con la violenza o con la frode e chi era occupato a rubare, e chi in attività pubbliche;
chi si affaticava immerso

nei piaceri della carne, e chi invece si abbandonava all’ozio, mentre io, libero da tutte queste vane sollecitudini, lassù in

cielo in compagnia di Beatrice ero accolto con tanta festa.
Dopo che ognuno (dei dodici spiriti) fu tornato (danzando) nel

punto del cerchio in cui si trovava prima, si fermò immobile, come (è immobile) una candela sul candeliere.
E dentro quella

luce (San Tommaso) che prima mi aveva parlato, mentre sorrideva facendosi più splendente, io udii incominciare:
“Come io

risplendo del raggio divino, così, lo sguardo nella luce eterna di Dio, conosco da dove abbiano origine le tue incertezze.

Tu dubiti, e desideri che il mio discorso si chiarisca con una esposizione così evidente e ampia, che si distenda davanti

alla tua capacità di intendere, riguardo al punto in cui prima dissi “U’ ben s’impingua”, e all’altro in cui dissi “Non surse

il secondo”;
e a proposito di questi dubbi è necessario procedere con opportune distinzioni.
La provvidenza, che

governa il mondo con sapienza così profonda che davanti ad essa ogni intelligenza creata è vinta prima di riuscire a penetrarla

fino in fondo.
affinché la Chiesa, la sposa di Cristo, che con alte grida si unì a lei nel suo sangue benedetto (versato

sulla croce), procedesse verso il suo diletto,
più sicura in se stessa e anche più fedele a Lui, decretò in suo aiuto

(ordinò in suo favore) due capi, che le fossero di guida da una parte con la carità e dall’altra con la sapienza.
Uno fu

tutto ardente di carità come un Serafino; l’altro per la sua sapienza fu in terra una luce degna della scienza propria dei

Cherubini.
Parlerò di uno di costoro, perché lodando uno si celebrano entrambi, qualunque dei due si scelga, perché le loro

opere mirarono allo stesso fine.
Tra il fiume Topino e il fiume Chiascio, l’acqua che scende dal monte scelto dal beato

Ubaldo come eremitaggio, digrada la fertile costa dell’alto massiccio del Subasio, dal quale Perugia riceve verso Porta Sole i

venti freddi d’inverno e caldi d’estate;
e sul versante opposto del Subasio piange sotto il pesante giogo Nocera con Gualdo

Tadino.
Sulla costa occidentale (del Subasio), là dove essa diventa meno ripida, nacque al mondo un sole, come talvolta

questo sole ( in cui ora ci troviamo) nasce dal Gange.
La luce spirituale di San Francesco ha lo stesso fulgore di quella

del sole quando, nell’equinozio di primavera, esso sorge, rispetto al meridiano di Gerusalemme, nel suo punto più orientale

(di Gange).
Perciò chi parla di quel luogo, non dica Assisi, perché direbbe troppo poco, ma dica Oriente, se vuol parlare

con proprietà (proprio).
Questo sole non era ancora molto lontano dal momento della sua comparsa, quando cominciò a far si

che la terra sentisse qualche beneficio della sua potenza vivificatrice, perché, ancora giovane, affrontò una lotta col padre

per amore di una donna tale, la Povertà, alla quale, come alla morte, nessuno fa grata accoglienza;
e davanti alla curia

vescovile della sua città e alla presenza del padre si unì a lei come sposo; in seguito l’amò di giorno in giorno sempre più

intensamente.
Questa donna (la Povertà), rimasta vedova del suo primo sposo, Cristo, era stata per oltre mille e cento anni

disprezzata e dimenticata, senza che alcuno la ricercasse, fino alla nascita di costui;
né valse (a farla amare) l’udire

che Cesare, colui che sgomentò tutto il mondo, la trovò tranquilla e serena, al suono della sua voce, accanto ad Amiclate;

né le valse l’essersi dimostrata fedele ed eroica al punto da patire con Cristo sulla croce, laddove (anche) Maria rimase

ai piedi di essa.
Ma perché io non continui a parlare in modo troppo oscuro, nel mio lungo discorso intendi ormai per

questi due amanti Francesco e la Povertà.
La loro concordia e la letizia dei loro aspetti facevano si che l’amore e l’

ammirazione e la dolce contemplazione che ne derivavano fossero motivo di santi pensieri (in chi li vedeva);
tanto che il

beato Bernardo si scalzò per primo, e corse dietro a questa grande pace spirituale e, pur correndo, gli sembrò di andare troppo

lento.
O ricchezza ignorata! o bene fecondo di tanti frutti! La sposa piace tanto, che seguendo lo sposo si scalza Egidio,

si scalza Silvestro.
Poi quel padre e quel maestro se ne va (a Roma) con la sua sposa e con quel gruppo di discepoli che già

cingevano (intorno ai fianchi) l’umile cordone. Né viltà d’animo gli fece abbassare gli occhi per il fatto di essere figlio

del mercante Pietro Bernardone, o per il fatto di avere un aspetto tanto spregevole da suscitare stupore,
ma con regale

dignità manifestò al papa Innocenzo III il suo proposito di una vita austera, e da lui ebbe il primo riconoscimento del nuovo

ordine.
Dopo che i seguaci della povertà si moltiplicarono dietro le orme di costui, la cui vita mirabile si canterebbe

meglio (che altrove) nella gloria del cielo, la santa volontà di questo pastore fu coronata con una seconda approvazione dallo

Spirito Santo per mezzo di papa Onorio III.
E dopo che, spinto dalla sete del martirio, ebbe predicato la dottrina di

Cristo e degli apostoli alla presenza del sultano nel fasto della sua corte, .
e avendo trovato il popolo musulmano troppo

restio ad ogni tentativo di conversione, per non restare (in terra infedele) senza frutto,
se ne tornò a far fruttificare il

seme sparso in Italia, sulla cima rocciosa (della Verna) tra le valli del Tevere e dell’Arno ricevette da
Cristo l’ultima

approvazione con le sacre stimmate, che le sue membra portarono impresse per due anni.
Quando a Dio che lo aveva destinato

ad operare tanto bene, piacque di portarlo in cielo al premio che egli aveva meritato facendosi umile, ai suoi frati, come a

legittimi eredi, raccomando la donna sua più cara (la Povertà),
e comandò loro che l’amassero con vera fede; e dal grembo

della Povertà la sua nobile anima volle partire, per tornare al cielo che era il suo regno, e per il suo corpo non volle altra

bara.
Pensa ora (se tale fu San Francesco) quale dovette essere colui che fu suo degno compagno nel mantenere la barca di

Pietro (la Chiesa) sulla giusta rotta nel mare tempestoso; e questo fu (San Domenico) il fondatore del nostro ordine;
per

la qual cosa puoi comprendere come chi segue lui secondo le prescrizioni della sua regola, accumula validi meriti per la vita

eterna.
Ma il suo gregge è diventato ghiotto di altri cibi, cosicché non è possibile che non si disperda in pascoli fuori

della giusta strada; e guanto più i suoi frati fanno come le pecore che se ne vanno erranti e lontane dal pastore, tanto più

tornano all’ovile privi del latte (della dottrina e della virtù ) .
Vi son bensì alcuni frati che temono il danno (dell’

inosservanza della regola) e si stringono intorno al pastore, ma sono tanto pochi, che basta poco panno per fornire loro le

cappe.
Ora se le mie parole non sono oscure e se tu mi hai ascoltato attentamente, se richiami alla memoria quello che è

stato detto, sarà in parte appagato il tuo desiderio di chiarimenti,
perché vedrai per quale causa la pianta dell’ordine

domenicano si corrompe, e vedrai che cosa significa la correzione che ho fatto all’affermazione
“U’ ben s’impingua, se non

si vaneggia”.

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