Paradiso: Parafrasi XV Canto - Studentville

Paradiso: Parafrasi XV Canto

Parafrasi.

La volontà di fare il bene nella quale si

risolve sempre l’amore che deriva direttamente da Dio, come la cupidigia si risolve nella volontà di fare il male, fece cessare

quel dolce coro e fece fermare il moto dei beati, i quali sono come le corde di una lira che la mano di Dio allenta o tende.

Come potranno essere sorde alle preghiere dei giusti quelle anime beate che, per invogliarmi a interrogarle, furono

concordi a cessare il loro canto? E’ giusto che soffra eternamente colui che, per amore delle cose terrene che sono caduche, si

priva per sempre dell’amore di Dio.
Come attraverso gli spazi sereni del cielo tranquillo e limpido di tanto in tanto

sfreccia improvvisa una stella cadente attirando lo sguardo di chi se ne stava ozioso, e sembra una stella che muti posto in

cielo, se non che dalla parte dove si
è accesa non scompare nessun astro, e quella presto si spegne, così dal braccio della

croce che si protendeva verso destra fino ai piedi di essa corse una delle luci della costellazione (di spiriti) che risplende

nell’interno della croce: né quella
gemma si distaccò dal nastro luminoso (della croce), ma corse via lungo la lista

formata dai due raggi, sì che sembrò una fiamma che risplende dietro ad un alabastro (trasparente):
Con la stessa

manifestazione d’affetto corse incontro (ad Enea, per abbracciarlo) l’ombra di Anchise, quando nell’oltretomba riconobbe il

figlio, se merita fede il racconto di Virgilio, il nostro maggior poeta.
“O sangue mio, o grazia di Dio (in te) infusa in

maniera singolare, a chi mai fu dischiusa due volte la porta del cielo come a te ?”.
Cosi parlò quello spirito: perciò io

mi rivolsi con attenzione verso di lui;
poi guardai la mia donna, e restai stupito da una parte e dall’altra, perché nei

suoi occhi risplendeva un un sorriso tale, che io credetti di toccare con i miei il limite estremo della grazia concessami da

Dio e della mia beatitudine.
Poi quello spirito, che ispirava gioia a udirlo e vederlo, aggiunse alle sue prime parole cose

che io non compresi, tanto era profondo il loro significato;
né si sottrasse alla mia comprensione di proposito, ma per

necessità, perché il suo pensiero andò oltre il limite a cui arriva l’intelligenza di un mortale.
E allorché la tensione

dell’ardente carità fu sfogata, tanto che il suo linguaggio si rese comprensibile alla nostra mente, la prima cosa intesa da me

fu:
“Sii benedetto, o Dio trino e uno, che sei tanto munifico verso la mia discendenza del mio seme)!”
E continuò: ”

Un caro e antico desiderio, sorto in me dall’aver letto (la tua futura venuta) nel grande libro della mente di Dio dove non si

aggiunge e non si toglie mai nulla a ciò che è scritto, hai saziato, o figlio, in me che ti parlo avvolto in questa luce,

grazie a Beatrice, colei che ti diede le ali per il grande volo.
Tu sei convinto che il tuo pensiero discenda in me

direttamente da Dio, che è l’Ente primo, così come dall’unità, quando è conosciuta, derivano il cinque e il sei (e gli altri

numeri): e perciò non mi domandi chi sono e perché mi mostro a te più festoso di qualunque altro spirito di questa moltitudine

beata.
Quello che credi è vero, perché in questa vita tutti gli spiriti, siano essi dotati di un grado minore o maggiore di

beatitudine, vedono in Dio come in uno specchio nel quale manifesti il tuo pensiero, prima ancora che tu lo abbia

concepito:
ma affinché l’amore divino nella contemplazione del quale io veglio godendone perpetuamente la visione e che fa

nascere in me la sete del dolce desiderio (di appagarti), s’adempia meglio, la tua voce esprima senza timore, franca e lieta la

tua volontà, esprima il tuo desideri, per il quale è già pronta la mia risposta!”
Io mi rivolsi a Beatrice, ed ella comprese

prima che parlassi, e sorridendo mi fece un cenno che accrebbe il mio desiderio.
Poi incominciai così: “Non appena aveste

la visione di Dio, che è perfetta uguaglianza (perché tutti i suoi infiniti attributi sono mente uguali e commisurati fra di

loro), in ciascuno di voi sentimento e intelligenza si corrisposero perfettamente , poiché Dio, il sole che vi illumina con la

luce (della sua sapienza) e vi infiamma con il fuoco (del suo amore), è così uguale (nei suoi attributi), che ogni somiglianza

risulta inadeguata ad esprimerLo.
Invece nei mortali la volontà e lo strumento per esprimerla adeguatamente, per il motivo

che voi conoscete (la limitatezza e l’imperfezione umana), sono provveduti di ali di diversa potenza (cioè: la parola non

sempre può realizzare ciò che la volontà desidera);
per cui io, che sono ancora mortale, sento di essere in questa

disuguaglianza (tra volontà e parola), e perciò non ringrazio che col cuore per l’accoglienza festosa e paterna. Io ti supplico

però, o spirito splendente come vivo topazio che adorni questo prezioso gioiello della croce, di appagare il mio desiderio di

conoscere il tuo nome”.
Allorché mi rispose, questo fu l’inizio del suo discorso:
“O figlio mio, nel quale mi

compiacqui anche solo aspettandoti, io fui tuo capostipite”.
Poi mi disse: “Alighiero, colui dal quale prende nome il tuo

casato e che gira da più di cento anni nella prima cornice del monte del purgatorio, fu mio figlio e fu tuo bisavolo:
è

proprio opportuno che tu gli abbrevi la lunga pena con i tuoi suffragi.
Firenze chiusa dentro la cerchia delle antiche

mura, donde la città sente ancora il suono delle ore di terza e di nona, se ne stava in pace, sobria e onesta.
Le donne non

usavano braccialetti, né corone preziose, né gonne ricamate, né cinture tanto ricche da essere più vistose della persona che le

portava).
La figlia, nascendo, non faceva ancora paura al padre, perché l’età e la dote non uscivano da una parte e dall’

altra dalla giusta misura.
Non vi erano case vuote di prole; non era ancora giunto Sardanapalo a insegnare quali vizi e

lussi si possono avere nel segreto della camera.
Monte Mario non era ancora vinto dal vostro Uccellatoio, il quale Monte

Mario, come fu superato in magnificenza, così sarà superato nella decadenza.
lo vidi Bellincione Berti portare una cintura

di cuoio con fibbie d’osso, e vidi sua moglie tornare dallo specchio senza il viso dipinto;
e quelli della famiglia dei

Vecchietti accontentarsi di indossare una semplice pelle non ricoperta di panno, e le loro donne intente agli umili lavori del

fuso e della rocca.
Oh donne fortunate! ciascuna sapeva con certezza il luogo dove sarebbe stata sepolta, e ancora nessuna

era lasciata sola nel letto nuziale dal marito andato in Francia (per mercanteggiare) .
Una vegliava amorosamente il bimbo

in culla e, per consolarlo (quando piangeva), si serviva di quel linguaggio infantile che per primi i genitori stessi si

divertono ad usare;
un’altra, filando, raccontava, stando seduta in mezzo alla sua servitù, le antiche storie dei Troiani,

di Fiesole e di Roma.
In quel tempo una donna dissoluta come Cianghella della Tosa, un barattiere come Lapo Saltarello

sarebbero stati considerati una cosa straordinaria come, ora, un uomo probo come Cincinnato o una donna virtuosa come Cornelia.

A una vita cittadina così tranquilla e bella, tra una cittadinanza cosi affiatata, in una così dolce dimora, mi fece

nascere la Vergine Maria, che era stata invocata con alte grida da mia madre durante il parto (cfr. Purgatorio XX, 19-21); e

nel vostro antico Battistero divenni cristiano e insieme ricevetti il nome di Cacciaguida.
Miei fratelli furono Moronto ed

Eliseo: la mia sposa fu originaria della valle del Po; e da lei ebbe origine il tuo cognome.
Poi seguii l’imperatore

Corrado; ed egli mi fece suo cavaliere, tanto ero entrato nelle sue grazie per il mio valore.
Lo seguii andando a

combattere contro l’iniquità di quella religione il cui popolo, per colpa dei papi (che si disinteressano di questo problema ),

usurpa i diritti della cristianità (sulla Terrasanta).
Qui ad opera di quella gente turpe fui sciolto dai legami del mondo

fallace, l’amore del quale abbrutisce molte anime; e dal martirio ( della morte per la fede) venni alla pace del paradiso”.

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