O nostra nobiltà di sangue, che sei cosa di si poco conto, se induci gli uomini a gloriarsi di
te quaggiù sulla terra, dove il nostro amore (verso Dio) ha scarsa forza (poiché si lascia attrarre dai beni mondani),
per
me ormai non sarai più causa di meraviglia, perché lassù , voglio dire in cielo, dove il nostro desiderio non può mai essere
deviato dalla retta via, io pure mi gloriai di te.
Certo tu sei come un mantello che presto diventa corto, così che, se non
si aggiunge ogni giorno qualcosa ad esso (cioè alla virtù degli antenati), il tempo accorcia questo mantello girandovi intorno
con le forbici .
Io ripresi il mio discorso (con Cacciaguida) usando il “voi” che Roma per prima permise, uso nel quale
(ora) la sua popolazione persevera meno delle altre;
perciò Beatrice, che stava un poco discosta da me, sorridendo, parve
fare come la dama di Malehaut, quella che tossì in occasione del primo colloquio d’amore di Ginevra raccontato nei romanzi
francesi.
Io cominciai: “Voi siete il padre mio; voi mi date un confidente ardire nel parlarvi; voi mi elevate così in alto,
che io mi sento più di quello che sono in realtà.
(Ascoltandovi) il mio animo si riempie di gioia per così tante vie, che
si rallegra con se stesso perché può sostenerla senza esserne sopraffatto.
Ditemi, dunque, amato capostipite della mia
famiglia, chi furono i vostri antenati, e in quali anni si svolse la vostra fanciullezza (letteralmente:
quali furono gli
anni che si segnarono nei calendari durante la vostra fanciullezza:
ditemi quanti erano allora gli abitanti di Firenze (
ovil di San Giovanni, in quanto San Giovanni Battista è il patrono della città), e quali in essa le famiglie degne di salire
alle più alte dignità”.
Come per lo spirare del vento si ravviva un carbone acceso, così vidi la luce di Cacciaguida
risplendere più intensamente alle mie parole affettuose ;
e come essa si fece più bella ai miei occhi, così con voce più
dolce e soave ( di prima ), ma non nella lingua che usiamo ora,
mi disse: “Dal giorno in cui l’arcangelo disse “Ave” alla
Vergine Maria fino al momento del parto con il quale mia madre, che ora è beata in cielo, si sgravò di me di cui era
incinta,
il rosso pianeta Marte venne 580 volte ad attingere nuovo calore sotto il piede del Leone, la costellazione che ha
la sua stessa natura.
I miei avi ed io nascemmo in quel puntodi Firenze dove per chi corre il vostro palio annuale
incomincia l’ultimo sestiere.
Dei miei antenati ti basti sapere questo: chi essi fossero e da dove siano venuti qui a
Firenze, è più opportuno tacere che dire.
Tutti coloro che in quel tempo erano atti alle armi a Firenze nella zona compresa
tra la statua di Marte (sul Ponte Vecchio) e il Battistero, erano la quinta parte di quelli che ora sono nella città.
Ma la
popolazione, che ora è mescolata con famiglie del contado venute da Campi, da Certaldo e da Figline, appariva di puro sangue
fiorentino fino al più umile artigiano.
Oh quanto sarebbe meglio che quelle genti di cui ho parlato fossero solo vostre
confinanti, e che voi aveste il confine della vostra città a Galluzzo e a Trespiano,
anziché averle dentro le mura e
sostenere il tanfo contadinesco di Baldo d’Aguglione, di Fazio da Signa, che certo ha l’occhio pronto a cogliere ogni occasione
di baratteria!
Se la gente di Chiesa, che oggi nel mondo è quella che più devia dal retto cammino, non fosse stata avversa
all’imperatore (a Cesare) come una matrigna, ma si fosse comportata (nei suoi confronti)
come una madre piena d’amore verso
il figlio, taluni che sono diventati fiorentini ed esercitano l’arte del cambio e della mercatura, avrebbero invece continuato
a vivere nel contado di Semifonte, là dove i loro antenati facevano la ronda di notte (attorno alle mura):
il castello di
Montemurlo sarebbe ancora dei conti Guidi; i Cerchi sarebbero ancora nella pieve di Acone, e forse i Buondelmonti ancora in Val
di Greve.
La mescolanza di stirpi diverse fu sempre causa di rovina per lo stato, come (è causa di malattia) per il vostro
corpo il cibo che si sovrappone (nello stomaco ad un altro non ancora digerito); e un toro cieco cade più presto di un agnello
cieco; e spesso una spada sola ferisce più e meglio che non cinque spade.
Se tu consideri come sono andate in rovina Luni e
Urbisaglia, e come si stanno spegnendo sulle loro orme Chiusi e Sinigaglia, non ti sembrerà cosa strana né difficile a capirsi
che si spengono (anche) le famiglie, dal momento che la vita delle città è soggetta alla rovina.
Le cose terrene, così come
( avviene per) voi uomini, sono tutte soggette alla morte, ma essa sembra non manifestarsi in alcune cose che durano a lungo (
come le città o le schiatte); d’altra parte la vita umana è cosi breve (che non permette di vedere la loro fine).
E come
il girare del cielo della Luna (generando i flussi e i riflussi della marea) copre e lascia scoperte alternativamente le
spiagge del mare, così la Fortuna ora innalza, ora abbassa le sorti di Firenze: per questo motivo non deve stupire ciò che io
dirò dei Fiorentini di antica nobiltà, la fama dei quali è coperta dall’oblio del tempo.
Io vidi gli Ughi, e vidi i
Catellini, i Filippi, i Greci, gli Ormanni e gli Alberichi, già in decadenza e in via di estinzione, sebbene ancora illustri
cittadini;
e vidi famiglie la cui potenza era pari all’antichità, con gli appartenenti alla famiglia dei della Sannella, dei
dell’Arce, e i Soldanieri e gli Ardinghi e i Bostichi.
Presso porta San Piero, che ora è piena di felloneria portata da
gente appena arrivata, felloneria così grave che presto causerà la rovina della città che l’accoglie,
abitavano i Ravignani,
dai quali sono discesi il conte Guido e tutti coloro che hanno poi preso il nome dal nobile Bellincione.
Gli appartenenti
alla famiglia della Pressa avevano già esperienza di governo, e i Galigai erano già stati insigniti della dignità di cavalieri.
Erano già grandi la famiglia dei Pigli, quella dei Sacchetti. dei Giuochi. dei Fifanti e dei Barucci e dei Galli e dei
Chiaramontesi, coloro che arrossiscono di vergogna per la frode dello staio di sale.
La schiatta da cui discese la famiglia
dei Calfucci era già grande, e già erano stati chiamati alle più alte cariche pubbliche i Sizii e gli Arrigucci.
Oh quanto
potenti io vidi gli Uberti, che (ora) sono caduti in rovina per la loro superbia! e l’insegna dei Lamberti dava lustro a
Firenze in tutte le sue grandi imprese.
Allo stesso modo (dei Lamberti) onoravano Firenze gli antenati dei Visdomini e dei
Tosinghi, i quali, quando la vostra sede vescovile è vacante, ne approfittano per arricchirsi allorché si riuniscono insieme
per amministrarla.
La prepotente schiatta (degli Adimari) che infierisce (s’indraca: si fa feroce come drago) su chi fugge,
e diventa umile come un agnello davanti a chi le mostra i denti o le offre la borsa, già iniziava l’ascesa, ma modesta era la
sua origine tanto che a Ubertino Donati non piacque che il suocero (Bellincione Berti) lo facesse poi diventare loro parente.
I Caponsacchi erano già scesi da Fiesole ed abitavano nei pressi del Mercato Vecchio, ed eran già diventati cittadini
ragguardevoli i Giudi e gli Infangati.
Dirò una cosa incredibile eppure vera nella cerchia antica si entrava per una porta
che prendeva nome dalla famiglia dei della Pera.
Tutte le famiglie che portano (nel loro stemma) la bella insegna di Ugo il
Grande, la cui fama e le cui opere sono commemorate nel giorno festivo di San Tommaso,
ricevettero da lui la dignità
cavalleresca e il privilegio (di portare il suo stemma), sebbene oggi uno che adorna quell’insegna col fregio (di una fascia
d’oro) si sia schierato dalla parte del popolo.
Fiorivano già le famiglie dei Gualterotti e degli Importuni; e il quartiere
di Borgo Santi Apostoli sarebbe ancor oggi più tranquillo, se esse non avessero avuto i nuovi vicini.
La casa (degli Amidei)
da cui nacque il pianto di Firenze, a causa del loro legittimo sdegno che (però) vi ha portati alla rovina, e ha posto fine
alla vostra vita serena e pacifica,
era tenuta in onore, essa e la sua consorteria (i Gherardini e gli Uccellini): o
Buondelmonte, quanto facesti male a venir meno alla promessa di nozze con una donna di quella famiglia per istigazione altrui!
Molti, che ora sono tristi (per i lutti causati dalla divisione della città), sarebbero invece lieti, se Dio ti avesse
fatto annegare nel fiume Ema la prima volta che venisti a Firenze.
Ma era necessario che Firenze, giunta alla fine del suo
periodo di pace interna, immolasse una vittima alla statua mutila di Marte che è in capo al Ponte Vecchio.
Con queste
famiglie e con altre insieme a loro, vidi Firenze in una pace cosiì profonda, che non c’era nulla da cui ricevesse motivo di
sofferenza:
con queste famiglie io vidi il suo popolo così glorioso e concorde, che l’insegna del giglio non era mai stata
capovolta in cima all’asta,
né il giglio bianco era mai stato sostituito con quello rosso per le lotte di
partito”.
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