Cacciaguida, specchiando in se divina luce beatificante, già godeva silenzioso del proprio pensiero, ed io
assaporavo il mio, cercando di contemperare quello che mi era stato detto di doloroso con quello che mi era stato detto di
gradevole.
E Beatrice, che mi guidava a Dio, mi disse. “Lascia il pensiero dell’esilio: considera che io sono vicino a Dio
(colui) che allevia ogni torto”.
Io mi volsi alle amorose parole della mia consolatrice; e qui rinuncio a descrivere la luce
di carità che io allora vidi nei suoi santi occhi;
non solo perché diffido della capacità espressiva delle mie parole, ma
anche perché la mia memoria non può ritornare tanto sopra se stessa (e ricordare), se Dio non la guida (con la sua
Grazia).
Di quel momento posso ricordare solo che, fissandola, il mio cuore fu libero da ogni altro desiderio,
mentre l’
eterna bellezza di Dio, che raggiava direttamente in Beatrice, mi appagava col raggio riflesso dai begli occhi di
lei.
Abbagliandomi con la luce di un suo; sorriso, ella mi disse: “Volgiti (a Cacciaguida) e ascolta, perché non solo nei
miei occhi (ma anche in quelli degli altri beati ) risplende la gioia del paradiso”.
Come talvolta quaggiù sulla terra il
sentimento interiore si manifesta negli occhi, allorché è tanto grande da prendere tutta l’anima,
cosi nel ravvivato
splendore della luce santa di Cacciaguida, al quale mi volsi, riconobbi il suo desiderio di parlarmi ancora un poco.
Egli
cominciò: “In questo quinto cielo del paradiso, che è come un albero che trae la vita da Dio, sua cima, e produce continuamente
frutti senza mai perdere nessuna foglia,
si trovano spiriti beati, i quali sulla terra, prima di venire in cielo, furono
circondati da grande fama, così che qualsiasi poeta potrebbe trovare ricca materia di canto (nelle loro imprese).
Perciò
fissa lo sguardo sui quattro bracci della croce: ogni spirito che io chiamerò per nome, trascorrerà da un braccio all’altro con
la velocità con la quale il lampo solca la nube che lo ha generato”.
Al nome di Giosuè, nel momento stesso in cui veniva
pronunciato, io vidi una luce muoversi lungo la croce; né il suono del nome fu percepito da me (mi fu noto) prima del muoversi
della luce.
E al nome del glorioso Giuda Maccabeo vidi un altro spirito muoversi girando su se stesso, e la gioia era come
la frusta che (colpendola) fa girare la trottola.
Allo stesso modo al nome di Carlo Magno e di Orlando il mio sguardo
attento seguì il movimento di altre due luci, come l’occhio del falconiere segue il falcone in volo.
Poi Guglielmo d’Orange,
e Renoardo, il duca Goffredo di Buglione, e Roberto il Guiscardo attrassero il mio sguardo lungo quella croce.
Quindi, l’
anima di Cacciaguida che mi aveva parlato, muovendosi e mescolandosi agli altri spiriti, mi fece sentire quale artista fosse
tra i cantori del cielo (di Marte).
Io mi volsi verso destra per farmi indicare da Beatrice o con parole o con cenni quello
che dovevo fare;
e vidi i suoi occhi tanto luminosi, tanto gioiosi, che il suo aspetto superava in bellezza tutti gli altri
precedenti, perfino l’ultimo.
E come l’uomo si accorge che la sua virtù cresce di giorno in giorno, perché prova una gioia
sempre più profonda nel fare il bene,
così io, vedendo più bello il miracoloso aspetto di Beatrice, m’accorsi che l’arco del
mio giro intorno alla terra insieme al cielo, aveva una circonferenza più ampia (essendo salito in un cielo superiore e quindi
più ampio).
E come muta rapidamente il colore in un bianco volto di donna, quando questo si libera dal rossore della
vergogna (ritornando al colore naturale),
altrettanto rapido fu il mutamento di colore che apparve ai miei occhi, quando
mi distolsi (dal guardare Beatrice), a causa del candore temperato del sesto cielo (di contro al colore rosso del cielo di
Marte ), che m’aveva accolto dentro di se.
Nella luminosa stella di Giove io vidi lo sfavillio degli spiriti, che lì
risplendevano d’amore, disegnare davanti ai miei occhi le lettere dell’alfabeto.
E come gli uccelli levatisi in volo dalle
rive di un fiume come se si rallegrassero tra loro per il cibo trovato, si dispongono in schiera ora circolare ora d’altra
forma,
così avvolti nella loro luce, i santi spiriti, volando qua e là, cantavano, e assumevano la figura ora di una D, ora
di una I, ora di una L.
Dapprima, cantando, si muovevano sul ritmo del loro canto; poi, assumendo la forma di una di queste
lettere, si arrestavano un poco e tacevano.
O celeste musa che fai gloriosi e rendi immortali i poeti, ed essi col tuo aiuto
rendono immortale la fama delle città e dei regni,
illuminami con la tua luce, in modo che io possa rappresentare
efficacemente le figure disegnate da questi spiriti, così come si sono impresse nella mia mente: appaia il tuo potere in questi
miei versi inadeguati (alla materia trattata)!
Apparvero dunque trentacinque vocali e consonanti; ed io fissai nella memoria
le lettere componenti ciascuna parola, nell’ordine in cui mi si mostrarono espresse in figura.
“Amate la giustizia” furono
il primo verbo e il primo nome della frase dipinta nel cielo: “voi che siete giudici in terra” furono le ultime parole.
Poi
le anime rimasero ferme e disposte nella figura della emme, ultima lettera dell’ultima parola, così che in quel punto il
pianeta Giove appariva come argento ornato di rilievi d’oro.
E vidi altre anime scendere (dall’Empireo) sul punto più alto
della emme, e li fermarsi cantando un inno, credo a Dio, il Bene che le attrae a se.
Poi come dai ceppi arsi dal fuoco,
quando vengono percossi, si sprigionano innumerevoli faville, dalle quali gli stolti sogliono trarre favorevoli auspici per
se,
così si videro alzarsi dal colmo dell’emme moltissime luci, e salire (verso l’alto) qual più e qual meno, a seconda del
grado di beatitudine che Dio, il sole che le accende (d’amore), ha dato loro in sorte;
e allorché ognuna si fu fermata al
suo posto, vidi che esse avevano formato la figura della testa e del collo di una aquila in quell’oro che prendeva rilievo
sullo sfondo argenteo del cielo di Giove,
Dio, che così dipinge nel cielo di Giove, non ha maestri, ma Egli stesso è il
maestro, e da lui deriva la virtù generativa che dà vita agli esseri nelle loro dimore terrene.
Le altre anime beate, che
prima apparivano paghe di assumere la forma del giglio nella lettera emme, con piccoli spostamenti completarono la figura.
O dolce pianeta Giove, quali e quante anime luminose mi mostrarono (prima col loro canto e poi con la figura dell’aquila,
simbolo dell’Impero e della giustizia che esso solo può realizzare) che la giustizia umana deriva dall’influsso del cielo che
tu adorni con il tuo splendore!
Perciò prego Dio, dal quale prende inizio il tuo movimento e il tuo potere di influsso,
affinché rivolga la sua attenzione al luogo da cui esce il fumo che offusca la tua luce,
in modo che Egli si adiri una
seconda volta per i commerci che si fanno nel la Chiesa che fu edificata con i miracoli e il martirio (di Cristo e dei suoi
santi).
O anime beate del cielo di Giove, che io contemplo (nella mia memoria), pregate per i mortali, che hanno deviato
dalla giusta via per il cattivo esempio (degli uomini di chiesa) !
Un tempo si era soliti fare la guerra con le armi, ma
ora si fa sottraendo ai fedeli, or qua or 1à, il pane spirituale che il misericordioso Padre celeste non nega a nessuno.
Ma
tu che scrivi (i decreti di scomunica) solo per annullarli poi (per denaro), pensa che Pietro e Paolo, che morirono per la
Chiesa che tu ora vai distruggendo, sono ancora vivi (in cielo e pronti a chiedere vendetta a Dio).
È probabile che
l’apostrofe sia rivolta a Giovanni XXII, pontefice dal 1316 al 1334, il quale con ogni mezzo “raunò infinito tesoro” (Villani
Cronaca XI, 20). Alcuni interpreti hanno proposto il nome di Bonifacio VIII e di Clemente V, per altro già morti al tempo in
cui Dante scrive questi versi.
A buon diritto puoi dire: “Il mio desiderio è volto con tanta forza a San Giovanni
Battista, colui che volle vivere solitario nel deserto e che fu martirizzato per premiare una danza,
che io non mi curo né
di San Pietro né di San Paolo”.
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- Letteratura Italiana - 200 e 300