Paradiso: Parafrasi XXII Canto - Studentville

Paradiso: Parafrasi XXII Canto

Parafrasi.

Sopraffatto dallo stupore (per il grido dei

beati ), mi volsi verso la mia guida, come fanciullo che ricorre sempre alla madre, colei nella quale ha maggior fiducia;
e

Beatrice, come madre che subito viene in soccorso al figlio pallido e ansioso con le sue parole, che sogliono

tranquillizzarlo,
mi disse: “Non ti ricordi che sei in paradiso ? e non sai che in paradiso tutto è santo, e che tutto

quello che qui si fa deriva da carità ardente ?
Ora, dopo che il grido dei beati ti ha tanto sconvolto, puoi comprendere

quanto più ti avrebbero sconvolto il loro canto e lo splendore del mio sorriso (cfr. canto XXI, versi 58-60 e 4-12);
e se tu

avessi potuto capire la preghiera contenuta in quel grido, già ti sarebbe svelata la punizione divina che vedrai prima della

tua morte.
La spada della giustizia divina non colpisce né troppo presto né troppo tardi, eccetto che nel giudizio di colui

che, desiderando la punizione divina o temendola per se, l’aspetta ( con ansia).
Ma osserva ormai gli altri beati, perché

vedrai anime molto famose, se rivolgi lo sguardo così come ti dico”.
Rivolsi gli occhi, come Beatrice desiderava, e vidi un

numero infinito di piccole sfere che illuminandosi a vicenda splendevano più intensamente.
Io ero nello stesso stato d’animo

di colui che reprime in sé lo stimolo del desiderio, e non osa domandare, tanto teme di eccedere i limiti della

discrezione;
e la più grande e la più luminosa di quelle gemme si fece avanti, per appagare il mio desiderio rivelandomi il

suo nome.
Poi dentro la luce che l’avvolgeva udii: “Se tu conoscessi, come conosco io, la carità che arde in noi, avresti

espresso il tuo pensiero (senza timore di essere inopportuno).
Ma affinché tu, indugiando (a parlare), non debba

ritardare il raggiungimento della tua alta meta (la visione di Dio nell’Empireo), risponderò alla domanda soltanto pensata che

tu esiti così tanto (a tradurre in parole).
La vetta di quel monte sulle cui pendici sorge Cassino, fu un tempo frequentata

da popolazioni immerse nelle false credenze del paganesimo e restie (ad accogliere la vera fede);
ed io sono colui che per

primo diffuse in quei luoghi il nome di Cristo, colui che portò sulla terra la verità che ci innalza alla beatitudine

eterna;
e risplendette sopra di me tanta grazia divina, che riuscii ad allontanare gli abitanti dei borghi circostanti

dall’empio culto pagano che aveva attratto a sé tutto il mondo.
Questi altri spiriti luminosi furono nella vita tutti dediti

alla contemplazione, accesi di quell’ardente carità che produce pensieri e opere sante.
Qui si trova Macario, qui si trova

Romualdo, qui si trovano quei benedettini che rimasero fedeli alla vita del chiostro tenendosi stretti, con saldo cuore, alla

regola”.
Ed io a lui: “La carità che dimostri rivolgendomi la parola, e la benevola espressione che vedo e osservo nello

aspetto luminoso di voi tutti,
hanno accresciuto la mia fiducia così come fa il sole con la rosa quando essa (al calore dei

raggi) si apre in tutta la sua pienezza.
Perciò ti prego, e tu, padre, dimmi se sono degno di ottenere una grazia tanto

grande, affinché possa vederti nella tua figura umana, liberata (dalla luce che la fascia)”.
Per cui egli rispose:

“Fratello, il tuo alto desiderio sarà soddisfatto nell’ultimo cielo (nell’Empireo, sede di Dio e reale dimora dei beati ), dove

tutti desideri e perciò anche il mio (che è quello di accogliere la tua richiesta) trovano il loro appagamento,
Là ciascun

desiderio e compiuto, giunto alla sua pienezza e senza difetti; solo in quest’ultimo cielo ogni parte è perfettamente

immobile,
perché (esso) non è nello spazio, e non ha i poli celesti intorno a cui girare; e la nostra scala sale fin lassù,

per cui si sottrae così alla tua vista.
Il patriarca Giacobbe, quando la scala gli apparve così piena di angeli (che

salivano e scendevano) ne vide la cima protendersi fino all’ultimo cielo.
Ma, per salirla, oggi nessuno alza i piedi da

terra, e la mia regola è rimasta solo per sciupare la carta (dove viene trascritta).
I monasteri che solevano essere rifugio

di santa vita sono diventati spelonche di ladroni, e le tonache monacali son simili a sacchi pieni di farina guasta .
Ma la

più grave usura (frutto del denaro dato a prestito) non offende tanto profondamente la volontà di Dio, quanto l’avidità delle

rendite ecclesiastiche che travia l’animo dei monaci,
perché tutto ciò che la Chiesa custodisce, appartiene ai poveri che

chiedono la carità in nome e per amore di Dio, non ai parenti degli ecclesiastici o ad altre persone che è preferibile non

nominare ( concubine e figli naturali ).
La natura umana è cosi debole, che giù nella terra un buon proposito iniziale

(quale fu quello offerto dalla Regola di San Benedetto) non dura neppure per il periodo che va dalla nascita della quercia al

suo fruttificare (periodo che è di circa venti anni ).
San Pietro diede inizio alla comunità della Chiesa senza possedere

né oro né argento, ed io diedi inizio al mio ordine con le preghiere e i digiuni, e San Francesco con la umiltà.
E se

consideri il periodo iniziale di ciascuna comunità, e poi rifletti fino a che punto essa è degenerata, tu vedrai che il bianco

si è mutato in nero (cioè: le virtù iniziali si sono cambiate negli opposti vizi).
Tuttavia l’aver fatto retrocedere le

acque del Giordano e aprire le acque del mare, quando Dio lo volle, furono cose più mirabili a vedersi di quello che sarà il

rimedio divino a questa corruzione”.
Così mi parlò, e poi si riunì alla sua schiera, e questa si chiuse in un gruppo

compatto; poi, come un turbine, salì roteando verso l’Empireo.
La mia dolce guida mi sospinse dietro a loro, su per quella

scala, con un solo cenno, tanto la sua virtù riuscì a vincere il peso del mio corpo;
e mai sulla terra, dove si sale e si

scende con mezzi naturali vi fu un movimento così veloce da poter, si paragonare alla rapidità del mio volo.
Così possa io

tornare, o lettore, in paradiso per meritare il quale spesso piango i miei peccati e mi percuoto il petto,
(come è vero) che

io vidi la costellazione dei Gemelli, che segue quella del Toro, ed entrai in essa in un tempo più breve di quello che tu

avresti impiegato a mettere e trarre il dito dal fuoco.
O stelle dispensatrici di gloria, o luce piena di nobile potenza,

all’influsso della quale devo attribuire tutto il mio ingegno, qualunque sia il suo valore,
il sole, che ( con il suo

calore ) è sorgente di ogni vita sulla terra, nasceva e tramontava in congiunzione con voi, allorché respirai per la prima

volta l’aria di Toscana; e poi, quando mi fu concessa la grazia di salire nel cielo (delle stelle fisse), che girando provoca

anche il vostro movimento, ebbi in sorte di giungere nella parte di questo cielo da voi occupato.
A voi ora il mio animo s’

innalza devotamente, per acquistare la forza necessaria ad affrontare l’ardua prova che lo attira a se.
“Tu sei così vicino

a Dio – cominciò Beatrice, – che i tuoi occhi devono ormai essere limpidi e penetranti:
e perciò, prima che tu penetri più

profondamente nella visione divina (t’inlei: riferito a ultima salute), guarda verso il basso, e osserva quanta parte del mondo

ti ho ormai fatto percorrere,
così che il tuo cuore si presenti lieto, quanto più gli è possibile, alle schiere trionfanti

che avanzano piene di gaudio in questa sfera celeste”.
Ripercorsi con lo sguardo tutti i sette cieli (che avevo

attraversato), e vidi la sfera terrestre così piccola, che sorrisi della sua meschina apparenza;
e riconosco come migliore

il giudizio di coloro che più la disprezzano; e chi pensa alle cose celesti (invece che a quelle terrene) si può chiamare

veramente virtuoso.
Vidi la luna (figlia di Latona e di Apollo, in quanto identificata, nella mitologia classica, con Diana)

illuminata senza quelle macchie a causa delle quali io l’avevo ritenuta costituita da parti rare e dense.
Qui, o Iperione,

riuscii a sopportare la vista del sole, tuo figlio, e vidi, o Maia e Dione, come intorno e vicino a lui si muovono i pianeti

(Mercurio e Venere ).
Di li mi apparve l’influsso temperatore di Giove tra Saturno, suo padre, e Marte, suo figlio; e di li

vidi chiaramente il variare delle loro posizioni.
E tutti e sette i pianeti mi si mostrarono nella loro grandezza, e nella

loro velocità, e nella distanza che intercorre fra la zona dell’uno e quella dell’altro.
Mentre mi volgevo con la

costellazione dei Gemelli, la terra, che, pur piccola come un’ala, ci rende tanto feroci (spingendoci gli uni contro gli altri

per il possesso dei suoi effimeri beni), mi apparve tutta, dai suoi luoghi più alti fino a quelli più bassi, dove i fiumi

sfociano in mare. Poi rivolsi i miei occhi verso quelli luminosi di Beatrice.

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