Paradiso: Parafrasi XXV Canto - Studentville

Paradiso: Parafrasi XXV Canto

Parafrasi.

Se mai avvenga che questo sacro poema alla cui composizione hanno concorso la scienza divina e l’umana

esperienza, così che la fatica durata lunghi anni mi ha fisicamente logorato,
riesca a piegare la crudele volontà (dei miei

concittadini) che mi costringe a stare lontano da Firenze, la mia dolce patria dove io (un tempo) vissi come cittadino

pacifico, ma avverso ai faziosi che portano discordia nella città,
ritornerò poeta con voce diversa ormai e con diverso

aspetto, e nel battistero di San Giovanni, dove fui battezzato, cingerò la corona poetica,
poiché lì feci il mio ingresso

nella fede che rende le anime familiari a Dio, e poi per questa fede San Pietro mi cinse la fronte (con la sua luce) in modo

così mirabile.
Quindi da quella stessa corona di beati da cui era uscito San Pietro, il primo dei vicari che Cristo lasciò

in terra, venne verso di noi un altro spirito luminoso;
e Beatrice, piena di letizia, mi disse: “Guarda, guarda: ecco uno

dei baroni della corte celeste, l’apostolo San Giacomo, per venerare il quale sulla terra si va in pellegrinaggio a Compostella

in Galizia”.
Come quando il colombo si avvicina al compagno, e l’uno manifesta all’altro l’amore, girandogli attorno e

tubando,
così vidi San Giacomo accolto dall’altro grande e glorioso principe, San Pietro, mentre entrambi lodavano Dio. il

cibo che lassù li nutre.
Ma dopo che fu terminato il vicendevole rallegrarsi, ciascuno si fermò dinanzi a me in silenzio, e

così fiammeggiante che abbagliava la mia vista.
Allora Beatrice disse sorridendo: “O gloriosa anima che esalasti nei tuoi

scritti la liberalità della nostra reggia celeste,
fa che risuoni in questo cielo il nome della speranza: tu puoi farlo,

perché sei colui che la simboleggi tutte le volte che Gesù dimostrò maggiore predilezione ai tre apostoli”.
“Alza il capo

e riprendi coraggio, perché chi sale quassù dalla terra, deve diventare capace di sostenere la vista del nostro splendore”.

Questo incoraggiamento mi venne dal secondo spirito, San Giacomo; e perciò io volsi lo sguardo verso le due somme luci che

prima avevano fatto abbassare i miei occhi per il loro eccessivo splendore.
“Poiché Dio, nostro imperatore, per sua grazia

vuole che tu, prima di morire, ti trovi al cospetto dei suoi ministri nella sala più interna della sua reggia,
cosicché,

dopo aver contemplato il paradiso quale esso è, tu possa con ciò che hai visto ravvivare in te e negli altri la speranza, che

in terra accende gli animi all’amore del bene,
dimmi cos’è la speranza e in che misura se ne abbellisce la tua mente, e

donde essa ebbe principio in te”. Così continuò ancora a dire San Giacomo.
E Beatrice che aveva guidato a così alto volo le

penne delle mie ali, prevenne la mia risposta con queste parole:
“La Chiesa militante non ha alcun figlio che possieda più

di lui la speranza, com’è scritto nella mente di Dio, il sole che illumina tutte le nostre schiere:
per questo gli è

concesso di venire dall’esilio terreno (d’Egitto) nella Gerusalemme celeste, per vedere (il paradiso), prima che sia terminato

per lui il tempo della milizia terrena.
Intorno agli altri due punti, che gli sono richiesti, non perché tu voglia sapere

(quello che già sai), ma perché egli riferisca agli uomini quanto ti è gradita questa virtù,
lascio a lui la risposta,

perché non gli riusciranno difficili né gli daranno motivo di vantarsi; ed egli stesso risponda alle tue domande e la grazia di

Dio gli consenta di farlo”.
Come scolaro che parla dopo il maestro rispondendogli pronto e volenteroso intorno a quello che

egli ben sa, perché si conosca il suo valore,
dissi: “La speranza è un’attesa sicura della gloria celeste, la quale è

prodotta dalla grazia divina e dai meriti precedentemente acquistati.
Questa nozione della speranza mi viene da molte fonti;

ma per primo la istillò nel mio cuore David, colui che fu il più alto cantore di Dio.
Nei suoi salmi in onore di Dio egli

dice: “Sperino in te quelli che conoscono il tuo nome”: e chi non sa questo, se ha la fede che ho io?
Anche tu poi, con la

luce comunicatami da David, mi istillasti la stessa dottrina nella tua epistola, in modo che io trabocco di questo dono, e

riverso sugli altri quello che voi fate piovere su di me”.
Mentre parlavo, dentro alla luce fiammeggiante di San Giacomo

guizzava un lampo improvviso e frequente come un baleno.
Quindi parlò: “L’amore di cui ardo tuttora per la virtù (della

speranza), la quale mi accompagnò fino al martirio e al termine della mia battaglia terrena,
vuole che io riparli della

speranza a te che dimostri d’amarla; e mi è gradito che tu mi dica che cosa essa ti promette”.
E io risposi: “Il Nuovo e il

Vecchio Testamento assegnano la meta alle anime che vivono in grazia di Dio, e questa meta mi indica ciò che la speranza

promette.
Isaia (infatti) dice che ciascuna delle anime elette (ritornata) nella sua terra sarà rivestita di una duplice

veste; e la sua terra e questa vita beata.
E tuo fratello Giovanni Evangelista ci manifesta questa stessa rivelazione in

modo assai più chiaro, là dove parla delle bianche vesti dei beati”.
E dopo la fine di queste parole, si udì dapprima

cantare sopra di noi: “Sperino in te”, e a questo canto risposero tutte le corone danzanti dei beati.
Poi in mezzo ad esse

uno spirito divenne così fulgido che se la costellazione del Cancro avesse una stella tanto luminosa l’inverno avrebbe un mese

fatto di un giorno solo.
E come una sorridente fanciulla si alza e s’avvia ed entra nel cerchio della danza, non per vanità,

ma solo per far onore alla novella sposa,
così vidi lo spirito che aveva accresciuto il suo splendore venire verso i due

(San Pietro e San Giacomo) che danzavano in circolo al ritmo del canto che era quale si conveniva alla loro ardente

carità.
Lì si unì a loro accordandosi al canto e alla danza; e la mia donna teneva lo sguardo fisso in loro, simile a sposa

assorta e silenziosa.
“Questi è l’apostolo Giovanni, colui che nell’ultima cena riposò sul petto di Cristo, e che fu scelto

da Cristo in croce al grande compito di sostituirlo come figlio presso Maria”.
Così disse Beatrice; né per questo le sue

parole distolsero il suo sguardo dal restare fisso sugli apostoli più di quanto lo avesse distolto prima di parlare.
Come

colui che aguzza lo sguardo e si sforza di vedere l’eclissi parziale di sole, e, per voler vedere troppo, restando abbagliato

non vede più nulla,
così divenni io dinanzi a quell’ultimo splendore finché mi fu detto (dal Santo): “Perché ti abbagli

cercando di vedere una cosa che qui non può essere?
Il mio corpo in terra è diventato polvere, e vi starà con gli altri

corpi finché il numero di noi beati sarà pari a quello stabilito dall’eternità nella mente divina.
Con l’anima e con il

corpo in paradiso si trovano solo Cristo e la Vergine, le due luci che poco fa sono salite all’Empireo; e questo tu riferirai

giù nel vostro mondo”.
A queste parole la splendente danza dei beati cessò insieme alla soave mescolanza dei suoni che

nasceva dal canto dei tre apostoli,
così come, al suono del fischio del capovoga, per riposarsi o evitare un pericolo, si

fermano tutti i remi, con i quali prima i rematori percuotevano regolarmente l’acqua.
Ah quanto mi turbai nell’animo, quando

mi volsi per guardare Beatrice, perché non potei vederla, sebbene fossi
vicino a lei, e nel felice mondo dei

beati!

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