Il mezzogiorno (l’ora sesta) arde lontano dal punto dove siamo forse a distanza di seimila miglia, e la terra (questo mondo)
inclina già il suo cono d’ombra fino quasi a portarlo sul piano dell’orizzonte,
quando lo spazio celeste, per noi più
lontano, incomincia a rischiararsi, tanto che alcune stelle non sono più visibili fin quaggiù sulla terra;
e non appena
avanza l’aurora, la luminosa ancella del sole, ecco che il cielo (rischiarandosi) spegne tutte le sue luci, una stella dopo l’
altra, finché scompare anche la più fulgente.
Allo stesso modo il coro trionfale dei nove cerchi angelici il quale tripudia
sempre intorno al punto centrale che mi aveva abbagliato, e che sembrava contenuto dai cerchi angelici mentre in realtà li
contiene nella sua onnipotenza divina,
a poco a poco impallidì scomparendo alla mia vista; per cui il non veder più nulla e
l’amore per Beatrice m’indussero a volgere gli occhi verso di lei.
Se tutto quanto è stato detto finora da me della bellezza
di Beatrice, potesse venire racchiuso tutto in una sola lode, questa sarebbe sempre inadeguata ad assolvere tale compito
(quello, cioè, di parlar degnamente di lei ).
La bellezza che io vidi ( in Beatrice ) non solo va al di là delle nostre
capacità umane, ma sono certo che soltanto Dio, il suo creatore, possa goderla appieno.
Da questo punto mi dichiaro vinto
più di quanto non sia mai stato sopraffatto da un punto qualsiasi del suo tema uno scrittore di stile comico o di stile
tragico,
perché, come fa la luce del sole riflessa in un occhio debole (il quale resta abbagliato), così il solo ricordo del
dolce sorriso di Beatrice mi priva di tutte le facoltà della mia mente (abbagliata da tanto splendore).
Dal primo giorno che
vidi i suoi occhi sulla terra, fino a questa visione, non mi è mai stato impedito di proseguire il mio canto;
ma ora devo
rinunciare a seguire, con la mia poesia, l’immagine della sua bellezza, come deve desistere ogni artista giunto al limite
estremo delle sue capacità espressive.
Cosi risplendente di sovrumana bellezza quale io la lascio da celebrare ad una voce
poetica più potente della mia, la quale svolge verso il suo termine il difficile argomento,
Beatrice con atteggiamento e
voce di guida che ormai ha finito il suo compito ricominciò: “Noi siamo usciti fuori dal Primo Mobile, il più grande dei corpi
celesti per entrare nell’Empireo, il cielo che è pura luce;
luce della mente divina, traboccante d’amore; amore del vero
bene, pieno di beatitudine; beatitudine che supera ogni altro godimento.
Qui vedrai la schiera degli angeli e la schiera dei
santi del paradiso, e vedrai quella dei beati con le stesse sembianze che essi avranno il giorno del giudizio finale (all’
ultima giustizia, quando ogni anima riprenderà il suo corpo)”.
Come un lampo improvviso che disperda le facoltà visive, così
che l’occhio non può più distinguere oggetti diventati troppo luminosi,
così tutt’intorno mi rifulse la viva luce (dell’
Empireo); e mi lasciò avvolto dal velo così intenso del suo fulgore, che non vedevo più nulla.
“L’amore divino che rende
immobile questo cielo, accoglie sempre con questo saluto chi vi entra, per preparare la candela a ricevere la sua
fiamma”.
Non erano ancora penetrate nella mia mente queste poche parole, che io m’accorsi di essermi elevato al di sopra
della mia normale facoltà visiva;
e mi illuminai di nuova potenza visiva, tale che non esiste luce tanto viva, che gli occhi
miei non sarebbero stati in grado di sopportare.
E vidi una luce in forma di fiume fluente di fulgore, tra due sponde
coperte di meravigliosi fiori, come a primavera.
Da questo fiume uscivano faville splendenti e andavano a posarsi sui fiori
dell’una e dell’altra riva, simili a rubini incastonati in oro.
Poi, come inebriate dal profumo dei fiori, le faville
tornavano a inabissarsi nel mirabile gorgo di luce; e mentre una entrava, un’altra ne usciva.
“L’intenso desiderio che ora
ti accende e ti stimola ad aver cognizione chiara di quello che tu vedi, piace tanto di più quanto più si accresce;
ma
bisogna che tu beva dell’acqua di questo fiume prima che in te sia placata una sete di sapere tanto grande”: così mi disse
Beatrice, il sole dei miei occhi.
Soggiunse ancora. “Il fiume di luce e le faville simili a topazi che vi s’immergono e ne
escono e il risplendere dei fiori sono anticipazioni velate della verità in essi racchiusa.
Non già che essi siano per loro
natura difettosi; ma l’insufficienza è in te che non hai ancora occhi tanto potenti da vederli quali sono”.
Non vi è bambino
che cosi precipitosamente si volga col viso per prendere il latte, se si sveglia molto più tardi dell’ora consueta,
come io
mi volsi al fiume, affinché i miei occhi diventassero migliori specchi (di quelle realtà), piegandomi verso l’acqua che scorre
fra le due rive perché, guardando in essa, si possa diventare perfetti;
e non appena i miei occhi cominciarono a dissetarsi
in quell’onda, essa mi apparve trasformata in un cerchio mentre prima si estendeva in lunghezza.
Poi come persone che celate
sotto maschere, allorché si tolgono il falso aspetto sotto cui si nascondono, appaiono diverse da prima,
allo stesso modo i
fiori e le faville (cambiando aspetto) si tramutarono davanti a me in una visione più festosa, così che io potei vedere
chiaramente ambedue le corti celesti (quella degli angeli e quella dei beati).
O splendore di Dio, per grazia del quale vidi
l’eccelso trionfo del regno celeste, dammi la capacità di descriverlo come lo vidi!
Nell’Empireo vi è il lume di gloria che
rende visibile il Creatore alla creatura che trova la sua pace solo nella visione di Lui.
Questo lume si allarga in forma
circolare, tanto che la sua circonferenza sarebbe una cintura troppo ampia anche per il sole.
Tutta la sua figura visibile è
formata da un raggio (emanante dalla luce divina) riflesso dalla superficie convessa del Primo Mobile, il quale da questo
raggio riceve la forza vitale che trasmette agli altri cieli.
E come un colle si specchia nell’acqua di un lago che è ai
suoi piedi, quasi per contemplare la sua bellezza, quando è ricco di verde e di fiori,
allo stesso modo, stando sopra al
lago di luce, disposte tutt’intorno ad esso, su più di mille gradini vidi specchiarsi tutte le anime beate che dal nostro mondo
sono tornate all’empireo.
E se il gradino più basso può contenere in se un lago di luce così ampio, (si immagini) quanto sia
estesa la circonferenza dei petali estremi di questa rosa!
La mia vista non si smarriva nell’immensità e nella profondità di
questo spettacolo, ma percepiva quella beatitudine in tutta la sua estensione e intensità.
Nell’Empireo, né la vicinanza
aggiunge, né la lontananza toglie qualcosa alla possibilità di vedere, perché dove Dio governa direttamente, le leggi della
natura non hanno alcun valore.
Nel centro luminoso della rosa eterna, che si allarga e si estende per successivi gradini ed
emana profumo di lode a Dio, il sole che crea perenne primavera,
Beatrice guidò me, che ero nello stesso stato d’animo di
colui che tace per lo stupore ma vorrebbe parlare, e mi disse: “Guarda quanto è grande la comunità dei beati vestiti di bianco
(delle bianche stole; l’immagine delle bianche stole deriva dall’Apocalisse VII, 9; cfr. Paradiso XXV, 95)!
Vedi quanto è
ampia la nostra Gerusalemme celeste: vedi come i nostri seggi hanno già tanti posti occupati che ormai qui ci attende solo poca
gente.
E su quel grande seggio, a cui tieni fissi gli occhi a causa della corona imperiale che già vi è sopra, prima che tu
salga a questo banchetto nuziale (cioè: prima della tua morte),
verrà a sedersi l’anima, che sulla terra sarà ) augusta, del
grande Arrigo, che scenderà a ristabilire l’ordine in Italia prima che essa sia preparata a ciò.
La cieca cupidigia dei beni
mondani che vi toglie ogni retto discernimento, vi ha resi simili al bambino che muore di fame eppure respinge la
balia.
Allora sarà a capo della Chiesa un pontefice che riguardo ad Arrigo agirà pubblicamente e segretamente, in modo
diverso.
Ma sarà tollerato da Dio nel santo ufficio per poco tempo ancora dopo la morte di Arrigo, perché sarà sprofondato
nell’inferno, nella bolgia dove Simon Mago riceve il meritato castigo,
e farà scendere più in basso (nella sua buca)
Bonifacio VIII, il papa di Anagni”.
- 200 e 300
- Parafrasi Paradiso
- Dante
- Letteratura Italiana - 200 e 300