Divus Iulius Paragrafi da 1 a 5: versione svolta - StudentVille

Divus Iulius, Paragrafi da 1 a 5

Paragrafo 1
Annum agens sextum decimum patrem amisit; sequentibusque consulibus flamen Dialis destinatus dimissa Cossutia quae familia equestri sed admodum diues praetextato desponsata fuerat Corneliam Cinnae quater consulis filiam duxit uxorem ex qua illi mox Iulia nata est; neque ut repudiaret compelli a dictatore Sulla ullo modo potuit. quare et sacerdotio et uxoris dote et gentilicis hereditatibus multatus diuersarum partium habebatur ut etiam discedere e medio et quamquam morbo quartanae adgrauante prope per singulas noctes commutare latebras cogeretur seque ab inquisitoribus pecunia redimeret donec per uirgines Vestales perque Mamercum Aemilium et Aurelium Cottam propinquos et adfines suos ueniam impetrauit. satis constat Sullam cum deprecantibus amicissimis et ornatissimis uiris aliquamdiu denegasset atque illi pertinaciter contenderent expugnatum tandem proclamasse siue diuinitus siue aliqua coniectura: uincerent ac sibi haberent dum modo scirent eum quem incolumem tanto opere cuperent quandoque optimatium partibus quas secum simul defendissent exitio futurum; nam Caesari multos Marios inesse.

Paragrafo 2
Stipendia prima in Asia fecit Marci Thermi praetoris contubernio; a quo ad accersendam classem in Bithyniam missus desedit apud Nicomeden non sine rumore prostratae regi pudicitiae; quem rumorem auxit intra paucos rursus dies repetita Bithynia per causam exigendae pecuniae quae deberetur cuidam libertino clienti suo. reliqua militia secundiore fama fuit et a Thermo in expugnatione Mytilenarum corona ciuica donatus est.

Paragrafo 3
Meruit et sub Seruilio Isaurico in Cilicia sed breui tempore. nam Sullae morte comperta simul spe nouae dissensionis quae per Marcum Lepidum mouebatur Romam propere redit. et Lepidi quidem societate quamquam magnis condicionibus inuitaretur abstinuit cum ingenio eius diffisus tum occasione quam minorem opinione offenderat.

Paragrafo 4
Ceterum composita seditione ciuili Cornelium Dolabellam consularem et triumphalem repetundarum postulauit; absolutoque Rhodum secedere statuit et ad declinandam inuidiam et ut per otium ac requiem Apollonio Moloni clarissimo tunc dicendi magistro operam daret. huc dum hibernis iam mensibus traicit circa Pharmacussam insulam a praedonibus captus est mansitque apud eos non sine summa indignatione prope quadraginta dies cum uno medico et cubicularis duobus. nam comites seruosque ceteros initio statim ad expediendas pecunias quibus redimeretur dimiserat. numeratis deinde quinquaginta talentis expositus in litore non distulit quin e uestigio classe deducta persequeretur abeuntis ac redactos in potestatem supplicio quod saepe illis minatus inter iocum fuerat adficeret. uastante regiones proximas Mithridate ne desidere in discrimine sociorum uideretur ab Rhodo quo pertenderat transiit in Asiam auxiliisque contractis et praefecto regis prouincia expulso nutantis ac dubias ciuitates retinuit in fide.

Paragrafo 5
Tribunatu militum qui primus Romam reuerso per suffragia populi honor optigit actores restituendae tribuniciae potestatis cuius uim Sulla deminuerat enixissime iuuit. L. etiam Cinnae uxoris fratri et qui cum eo ciuili discordia Lepidum secuti post necem consulis ad Sertorium confugerant reditum in ciuitatem rogatione Plotia confecit habuitque et ipse super ea re contionem.

Versione tradotta

Paragrafo 1
A quindici anni perse il padre; nell’anno successivo gli fu conferita la carica di Flamen Dialis. Separatosi da Cossuzia, donna di famiglia equestre, ma molto ricca, alla quale era stato fidanzato fin dalla più giovane età, sposò Cornelia, figlia di Cinna, quello stesso che
era stato eletto console per quattro volte; da lei ebbe una figlia, Giulia, e neppure Silla in alcun modo poté costringerlo a divorziare; allora Cesare, dopo essere stato privato della sua carica sacerdotale, della dote della moglie e delle eredità familiari, era considerato nella lista dei suoi avversari, in modo che era costretto a starsene nascosto, a cambiare rifugio quasi ogni notte, sebbene fosse ammalato piuttosto gravemente di febbre quartana e si riscattava col denaro dagli inquisitori, finché, per intercessione sia delle Vergini Vestali, sia di alcuni suoi parenti, ottenne la grazia.
Si dice che Silla, essendosi rifiutato a lungo di accogliere le preghiere dei suoi più illustri amici e poiché quelli tenacemente glielo richiedevano, alla fine, vinto, abbia esclamato, non si sa bene se per intuizione o per uno strano presentimento: «Vincano e se lo tengano pure stretto, ma sappiano che colui che vogliono salvo ad ogni costo, un giorno sarà la rovina del partito aristocratico che hanno difeso insieme con me. In Cesare, infatti, sono presenti molti Marii.»

 
Paragrafo 2
Fece il servizio di leva in Asia, presso lo stato maggiore di Marco Termo. Mandato da costui in Bitinia a cercare una flotta, si attardò presso Nicomede e qui corse voce che si fosse prostituito a quel re; egli stesso alimentò questa diceria quando, pochi giorni più tardi, ritornò in Bitinia con la scusa di recuperare il denaro concesso ad uno schiavo affrancato, divenuto suo cliente.
Tuttavia gli ultimi anni della sua campagna militare gli procurarono una fama migliore e da Termo, in occasione della conquista di Mitilene, gli fu assegnata la corona civica.
Paragrafo 3
Prestò servizio anche in Cilicia, agli ordini di Servilio Isaurico, ma per poco tempo.
Essendo giunta infatti la notizia della morte di Silla, con la speranza di qualche nuova discordia, che già si attivava per opera di Marco Emilio Lepido, si affrettò a rientrare a Roma e tuttavia, nonostante vi fosse invitato a condizioni vantaggiose, si astenne dall’unione con lo stesso Lepido, perché diffidava tanto delle sue capacità quanto delle circostanze, che aveva trovato meno favorevoli di quanto avesse immaginato.

 
Paragrafo 4
Quando la discordia civile fu domata, Cesare incriminò per concussione Cornelio Dolabella, un ex console che aveva meritato il trionfo, e dal momento che l’imputato era stato assolto, decise di ritirarsi a Rodi, un po’ per sottrarsi ad eventuali vendette, un po’ per seguire, durante quel periodo di inattività e di riposo, le lezioni di Apollonio Molone, a quel tempo il più celebre maestro di oratoria.
Mentre compiva la traversata verso Rodi, nei mesi invernali, fu catturato dai pirati presso l’isola di Farmacusa, e rimase con loro, non senza la più grande indignazione, per circa quaranta giorni, in compagnia di un medico e di due schiavi. Aveva infatti inviato i compagni di viaggio e tutti gli altri servi immediatamente a Roma per raccogliere i soldi con cui riscattarlo. Quando poi, una volta pagati i cinquanta talenti stabiliti, venne sbarcato su una spiaggia, non esitò, dopo aver assoldato una flotta, a lanciarsi all’inseguimento dei pirati: li catturò e li condannò a quel supplizio che spesso aveva minacciato loro per scherzo. Mentre Mitridate devastava le regioni vicine al suo regno, Cesare, per non apparire inattivo, mentre altri si trovavano in un momento critico, da Rodi, dove era giunto, passò in Asia con un certo numero di truppe che aveva raccolto, e dopo aver scacciato dalla provincia il luogotenente del re, restituì fiducia alle popolazioni incerte e dubbiose.

 
Paragrafo 5
Durante il suo tribunato militare, la prima carica che ottenne tramite il suffragio popolare dopo il suo ritorno a Roma, appoggiò assai vigorosamente coloro che volevano ripristinare l’autorità tribunizia, la cui efficacia era stata indebolita da Silla. Grazie alla legge Plozia, concesse il ritorno in patria a L. Cinna, fratello di sua moglie, e a quelli che, con lui, al tempo della sommossa civile, prima avevano seguito Lepido e poi, alla sua morte, si erano rifugiati presso Sartorio; sull’argomento tenne addirittura una pubblica arringa.

 

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