Paragrafo 36
Omnibus ciuilibus bellis nullam cladem nisi per legatos suos passus est quorum C. Curio in Africa periit C. Antonius in Illyrico in aduersariorum deuenit potestatem P. Dolabella classem in eodem Illyrico Cn. Domitius Caluinus in Ponto exercitum amiserunt. ipse prosperrime semper ac ne ancipiti quidem umquam fortuna praeterquam bis dimicauit: semel ad Dyrrachium ubi pulsus non instante Pompeio negauit eum uincere scire iterum in Hispania ultimo proelio cum desperatis rebus etiam de consciscenda nece cogitauit.
Paragrafo 37
Confectis bellis quinquiens triumphauit post deuictum Scipionem quater eodem mense sed interiectis diebus et rursus semel post superatos Pompei liberos. primum et excellentissimum triumphum egit Gallicum sequentem Alexandrinum deinde Ponticum huic proximum Africanum nouissimum Hispaniensem diuerso quemque apparatu et instrumento. Gallici triumphi die Velabrum praeteruehens paene curru excussus est axe diffracto ascenditque Capitolium ad lumina quadraginta elephantis dextra sinistraque lychnuchos gestantibus. Pontico triumpho inter pompae fercula trium uerborum praetulit titulum veni : vidi : vici non acta belli significantem sicut ceteris sed celeriter confecti notam.
Paragrafo 38
Veteranis legionibus praedae nomine in pedites singulos super bina sestertia quae initio ciuilis tumultus numerauerat uicena quaterna milia nummum dedit. adsignauit et agros sed non continuos ne quis possessorum expelleretur. populo praeter frumenti denos modios ac totidem olei libras trecenos quoque nummos quos pollicitus olim erat uiritim diuisit et hoc amplius centenos pro mora. annuam etiam habitationem Romae usque ad bina milia nummum in Italia non ultra quingenos sestertios remisit. adiecit epulum ac uiscerationem et post Hispaniensem uictoriam duo prandia; nam cum prius parce neque pro liberalitate sua praebitum iudicaret quinto post die aliud largissimum praebuit.
Paragrafo 39
Edidit spectacula uarii generis: munus gladiatorium ludos etiam regionatim urbe tota et quidem per omnium linguarum histriones item circenses athletas naumachiam. munere in foro depugnauit Furius Leptinus stirpe praetoria et Q. Calpenus senator quondam actorque causarum. pyrricham saltauerunt Asiae Bithyniaeque principum liberi. ludis Decimus Laberius eques Romanus mimum suum egit donatusque quingentis sestertiis et anulo aureo sessum in quattuordecim [e] scaena per orchestram transiit. circensibus spatio circi ab utraque parte producto et in gyrum euripo addito quadrigas bigasque et equos desultorios agitauerunt nobilissimi iuuenes. Troiam lusit turma duplex maiorum minorumque puerorum. uenationes editae per dies quinque ac nouissime pugna diuisa in duas acies quingenis peditibus elephantis uicenis tricenis equitibus hinc et inde commissis. nam quo laxius dimicaretur sublatae metae inque earum locum bina castra exaduersum constituta erant. athletae stadio ad tempus extructo regione Marti campi certauerunt per triduum. nauali proelio in minore Codeta defosso lacu biremes ac triremes quadriremesque Tyriae et Aegyptiae classis magno pugnatorum numero conflixerunt. ad quae omnia spectacula tantum undique confluxit hominum ut plerique aduenae aut inter uicos aut inter uias tabernaculis positis manerent ac saepe prae turba elisi exanimatique sint plurimi et in his duo senatores.
Paragrafo 40
Conuersus hinc ad ordinandum rei publicae statum fastos correxit iam pridem uitio pontificum per intercalandi licentiam adeo turbatos ut neque messium feriae aestate neque uindemiarum autumno conpeterent; annumque ad cursum solis accommodauit ut trecentorum sexaginta quinque dierum esset et intercalario mense sublato unus dies quarto quoque anno intercalaretur. quo autem magis in posterum ex Kalendis Ianuariis nouis temporum ratio congrueret inter Nouembrem ac Decembrem mensem interiecit duos alios; fuitque is annus quo haec constituebantur quindecim mensium cum intercalario qui ex consuetudine in eum annum inciderat.
Versione tradotta
Durante tutte queste guerre civili, Cesare non subì alcuna sconfitta se non per colpa dei suoi luogotenenti, dei quali C. Curione morì in Africa, C. Antonio cadde in mano dei nemici nell'Illirico, P. Dolabella perse la flotta, sempre nell'Illirico, e Cn. Domizio Calvino perse l'esercito nel Ponto. Cesare personalmente combatté sempre vittoriosamente, e la situazione non fu mai incerta se non in due occasioni: la prima volta presso Durazzo dove, respinto, disse che Pompeo non sapeva vincere dato che non lo inseguiva; la seconda in Spagna, durante l'ultima battaglia quando, disperando del successo, pensò perfino di darsi la morte.
Concluse le guerre, riportò il trionfo cinque volte: dopo aver sconfitto Scipione, quattro volte nello stesso mese, ma a qualche giorno di intervallo, e una volta ancora, dopo aver superato i figli di Pompeo. Il primo e il più bello dei suoi trionfi fu quello Gallico, poi l'Alessandrino, quindi il Pontico, dopo l'Africano e infine lo Spagnolo, ciascuno differente per preparativi ed equipaggiamento. Nel giorno del trionfo sui Galli, attraversando il Velabro, per poco non fu sbalzato dal carro per la rottura di un assale e salì sul Campidoglio alla luce delle fiaccole che quaranta elefanti, a destra e a sinistra, portavano sui candelieri. Durante il trionfo Pontico, tra gli altri carri presenti nel corteo, fece portare davanti a sé un cartello con queste tre parole: «Venni, vidi, vinsi», volendo indicare non tanto le imprese della guerra, come negli altri casi, quanto la rapidità con cui era stata conclusa.
Alle sue legioni di veterani, oltre ai duemila sesterzi che aveva promesso come bottino a ciascun fante, all'inizio delle sommosse civili, ne diede anche altri ventiquattromila. Assegnò anche dei campi, ma non contigui, affinché nessuno dei proprietari fosse scacciato. Al popolo fece distribuire, oltre a dieci moggi di frumento e altrettante libbre d'olio, anche trecento sesterzi per persona, che un tempo aveva promesso, e ne aggiunse altri cento come ricompensa del ritardo. Condonò inoltre, per un anno, gli affitti delle abitazioni che a Roma arrivavano fino a duemila sesterzi e in Italia non oltre cinquecento. Aggiunse una distribuzione di pasti e di carne e, dopo la vittoria in Spagna, di due pranzi: infatti, poiché riteneva insufficiente e poco degno della sua generosità ciò che aveva offerto prima, quattro giorni dopo offrì un altro ricchissimo banchetto.
Offrì spettacoli di vario genere: combattimenti di gladiatori, rappresentazioni teatrali, allestite in tutti i quartieri della città e inoltre con attori che parlavano tutte le lingue, giochi ginnici nel circo e battaglie navali. Ai combattimenti di gladiatori, allestiti nel Foro, parteciparono Furio Leptino, di famiglia pretoria, e Quinto Calpeno, un tempo senatore e avvocato. Ballarono la Pirrichia i figli delle più grandi famiglie dell'Asia e della Bitinia. Alle rappresentazioni teatrali Decimo Laberio, cavaliere romano, presentò un mimo di sua creazione, poi, dopo aver ricevuto in dono cinquecento sesterzi e un anello d'oro, fuori dalla scena attraversò l'orchestra per sedersi su uno dei quattordici gradini. Per i giochi del circo, ingrandìta l'arena da una parte e dall'altra e condotto intorno un fossato, i giovani della più alta nobiltà guidarono bighe, quadrighe e cavalli da corsa. Una duplice schiera di fanciulli, differenti per età, praticò il gioco troiano. Cinque giorni furono dedicati alla caccia e, alla fine, tutto si risolse con una battaglia tra due schiere ciascuna costituita da cinquecento fanti, venti elefanti e trenta cavalieri. Affinché si combattesse in uno spazio più ampio, infatti, erano state tolte le mete e realizzati al loro posto due accampamenti opposti uno all'altro. Alcuni atleti lottarono per tre giorni in uno stadio appositamente costruito per la circostanza nel quartiere del Campo di Marte. Dopo che per la battaglia navale nella piccola Codeta fu scavato un bacino, si scontrarono, con grande numero di combattenti, biremi, triremi e quadriremi, raggruppate in due flotte, una tiriana e l'altra egiziana. A tutti questi spettacoli confluì un tal numero di persone, venute da ogni parte, che la maggioranza degli stranieri rimaneva sotto le tende, erette nei vicoli e nelle strade, e molti furono schiacciati e uccisi dalla folla; tra questi anche due senatori.
Dedicandosi quindi alla riorganizzazione dello Stato, Cesare riformò il calendario già talmente alterato, per colpa dei pontefici che avevano abusato dei giorni da intercalare, che le feste della mietitura non cadevano più in estate e quelle della vendemmia in autunno. Regolò allora l'anno secondo il corso del sole, in modo che vi fossero trecentosessantacinque giorni in modo che, eliminato il mese da intercalare, si aggiungesse un giorno ogni quattro anni. Ma, affinché da allora in poi il conteggio delle date coincidesse maggiormente, a partire dalle successive calende di gennaio, introdusse altri due mesi tra quelli di novembre e dicembre; e quell'anno, in cui queste cose venivano stabilite, fu di quindici mesi, con il mese intercalare che, secondo l'usanza, proprio in quell anno era capitato.
- Letteratura Latina
- Divus Iulius di Svetonio
- Svetonio