Divus Augustus, Paragrafi da 36 a 40 - Studentville

Divus Augustus, Paragrafi da 36 a 40

Paragrafo 36
Auctor et aliarum rerum fuit in quis: ne acta senatus publicarentur ne magistratus deposito honore statim in provincias mitterentur ut proconsulibus ad mulos et tabernacula quae publice locari solebant certa pecunia constitueretur ut cura aerari a quaestoribus urbanis ad praetorios praetoresve transiret ut centumviralem hastam quam quaesturam Tluncti consuerant cogere decemviri cogerent.

Paragrafo 37
Quoque plures partem administrandae rei p. caperent nova officia excogitavit: curam operum publicorum viarum aquarum alvei Tiberis frumenti populo dividundi praefecturam urbis triumviratum legendi senatus et alterum recognoscendi turmas equitum quotiensque opus esset. Censores creari desitos longo intervallo creavit. Numerum praetorum auxit. Exegit etiam ut quotiens consulatus sibi daretur binos pro singulis collegas haberet nec optinuit reclamantibus cunctis satis maiestatem eius imminui quod honorem eum non solus sed cum altero gereret.

Paragrafo 38
Nec parcior in bellica virtute honoranda super triginta ducibus iustos triumphos et aliquanto pluribus triumphalia ornamenta decernenda curavit. Liberis senatorum quo celerius rei p. assuescerent protinus a virili toga latum clavum induere et curiae interesse permisit militiamque auspicantibus non tribunatum modo legionum sed et praefecturas alarum dedit; ac ne qui expers castrorum esset binos plerumque laticlavios praeposuit singulis alis. Equitum turmas frequenter recognovit post longam intercapedinem reducto more travectionis. Sed neque detrahi quemquam in travehendo ab accusatore passus est quod fieri solebat et senio vel aliqua corporis labe insignibus permisit praemisso in ordine equo ad respondendum quotiens citarentur pedibus venire; mox reddendi equi gratiam fecit eis qui maiores annorum quinque et triginta retinere eum nollent.

Paragrafo 39
Impetratisque a senatu decem adiutoribus unum quemque equitum rationem vitae reddere coegit atque ex improbatis alios poena alios ignominia notavit plures admonitione sed varia. Lenissimum genus admonitionis fuit traditio coram pugillarium quos taciti et ibidem statim legerent; notavitque aliquos quod pecunias levioribus usuris mutuati graviore faenore collocassent.

Paragrafo 40
Ac comitiis tribuniciis si deessent candidati senatores ex equitibus R. creavit ita ut potestate transacta in utro vellent ordine manerent. Cum autem plerique equitum attrito bellis civilibus patrimonio spectare ludos e quattuordecim non auderent metu poenae theatralis pronuntiavit non teneri ea quibus ipsis parentibusve equester census umquam fuisset. Populi recensum vicatim egit ac ne plebs frumentationum causa frequentius ab negotiis avocaretur ter in annum quaternum mensium tesseras dare destinavit; sed desideranti consuetudinem veterem concessit rursus ut sui cuiusque mensis acciperet. Comitiorum quoque pristinum ius reduxit ac multiplici poena coercito ambitu Fabianis et Scaptiensibus tribulibus suis die comitiorum ne quid a quoquam candidato desiderarent singula milia nummum a se dividebat. Magni praeterea existimans sincerum atque ab omni colluvione peregrini ac servilis sanguinis incorruptum servare populum et civitates Romanas parcissime dedit et manumittendi modum termi navit. Tiberio pro cliente Graeco petenti rescripsit non aliter se daturum quam si praesens sibi persuasisset quam iustas petendi causas haberet; et Liviae pro quodam tributario Gallo roganti civitatem negavit immunitatem optulit affirmans facilius se passurum fisco detrahi aliquid quam civitatis Romanae vulgari honorem. Servos non contentus multis difficultatibus a libertate et multo pluribus a libertate iusta removisse cum et de numero et de condicione ac differentia eorum qui manumitterentur curiose cavisset hoc quoque adiecit ne vinctus umquam tortusve quis ullo libertatis genere civitatem adipisceretur Etiam habitum vestitumque pristinum reducere studuit ac visa quondam pro contione pullatorum turba indignabundus et clamitans: “en Romanos rerum dominos gentemque togatam!” negotium aedilibus dedit ne quem posthac paterentur in Foro circave nisi positis lacernis togatum consistere.

Versione tradotta

Paragrafo 36
Fu promotore anche di altre iniziative, ovvero vietò di rendere pubblici gli atti del Senato, proibì che si inviassero magistrati nelle province subito dopo che avevano terminato il loro incarico; stabilì che si determinasse una somma fissa di denaro ai proconsoli per i loro muli e le loro tende, che di solito venivano aggiudicati pubblicamente; che l’amministrazione del tesoro passasse dai questori urbani agli ex-pretori o ai pretori ancora in carica; che i decemviri convocassero il tribunale dei centemviri, che i questori onorari erano soliti adunare.

Paragrafo 37
In modo che molti cittadini prendessero parte all'amministrazione dello Stato, creò nuove funzioni: la cura dei lavori pubblici, delle strade, delle acque, del letto del Tevere, della distribuzione del grano al popolo; la prefettura di Roma, un triumvirato per reclutare i senatori ed un altro per passare in rivista gli squadroni dei cavalieri, ogni volta che fosse necessario. Nominò i censori, che da tempo si era cessato di eleggere. Aumentò il numero dei pretori. Pretese anche, tutte le volte che gli veniva assegnato il consolato, di disporre di due colleghi, invece di uno, ma non li ottenne dato che tutti i senatori protestavano gridando che la sua autorità era abbastanza sminuita perché esercitava questa magistratura non da solo bensì insieme ad un altro.

Paragrafo 38
Non fu meno generoso nell’onorare il valore militare: fece assegnare il trionfo completo a più di trenta generali e a molti di più le insegne trionfali. Permise ai figli dei senatori, affinché più rapidamente si abituassero agli affari dello Stato, di rivestire il laticlavio, subito dopo aver indossato la toga virile e di partecipare alle sedute del Senato; a quelli poi che intraprendevano la carriera militare concesse non solo il grado di tribuno della legione, ma anche il comando delle ali della cavalleria. E affinché nessuno fosse esente dalla vita di accampamento, pose generalmente due ufficiali con il laticlavio a capo di ciascuna ala. Frequentemente passò in rassegna gli squadroni di cavalleria, dopo aver ripristinato le loro sfilate tradizionali, da tempo cadute in disuso. Ma non tollerò che, durante le sfilate, qualcuno dei cavalieri venisse arrestato da un accusatore, cosa che avveniva di solito, e consentì a quelli famosi per l'età avanzata o per qualche malanno del corpo, una volta lasciato il loro cavallo da solo nella formazione di parata, di venire a piedi per rispondere ogni volta che fossero chiamati in causa. In breve concesse l'autorizzazione di restituire il cavallo a coloro che, avendo superato i trentacinque anni, non volevano più tenerlo.

Paragrafo 39
Con l’aiuto di dieci aiutanti, che aveva ottenuto dal Senato, costrinse ciascun cavaliere a rendergli conto della sua esistenza e ad alcuni tra i colpevoli inflisse una pena, ad altri un marchio di infamia, ma alla maggior parte un’ ammonizione, in varie forme. Il tipo più lieve di ammonizione risultò la consegna diretta di tavolette che essi dovevano leggere a bassa voce e immediatamente sul posto; inoltre biasimò alcuni perché avevano prestato a tasso d'usura somme avute a basso interesse.

Paragrafo 40
Qualora alle elezioni dei tribuni i senatori mancassero come candidati, egli li nominò tra i cavalieri romani, in modo tale che, terminata la loro carica, restassero nell’ordine che volessero. Poiché la maggior parte dei cavalieri, con il patrimonio rovinato dalle guerre civili, non osavano assistere ai giochi seduti sui quattordici gradini, per paura delle sanzioni in base alla legge sugli spettacoli, proclamò che essa non si applicava a loro stessi o ai loro parenti se un tempo avevano fatto parte dell'ordine equestre. Per quartieri fece il censimento del popolo e affinché i plebei non fossero distolti dalle loro occupazioni troppo spesso a causa della distribuzione di grano, stabilì di fare distribuire tre volte all'anno tessere valide per l'approvvigionamento di quattro mesi; ma a chi rimpiangeva la vecchia abitudine, di nuovo concesse che ciascuno ricevesse ogni mese ciò che gli spettava. Ristabilì anche l'antico regolamento dei Comizi e, dopo aver sancito numerose pene contro il broglio, il giorno delle elezioni faceva distribuire alle tribù Fabia e Scazia, delle quali era membro, mille sesterzi a testa, affinché non si aspettassero nulla da nessun candidato. Inoltre, ritenendo importante conservare la purezza della stirpe romana e preservarla da ogni mescolanza con sangue straniero e servile, non solo concesse la cittadinanza romana molto limitatamente ma determinò anche regole precise per l'affrancamento. A Tiberio che gli chiedeva la cittadinanza per un suo cliente greco, replicò che gliel'avrebbe concessa solo se di persona lo avesse convinto di quanto fossero giusti i motivi della richiesta; la negò anche a Livia che la chiedeva per un Gallo tributario: in cambio offrì l'esenzione dai tributi, affermando che avrebbe tollerato più facilmente che si sottraesse qualcosa al fisco, piuttosto che si estendesse la dignità della cittadinanza romana. Poi, non soddisfatto di aver tenuto lontano gli schiavi con mille ostacoli dalla libertà parziale, e con molti di più da quella totale, dopo aver considerato scrupolosamente il numero, la condizione e le differenti categorie di quelli che potevano essere affrancati, aggiunse anche questo, che chi fosse stato imprigionato o torturato non ottenesse la cittadinanza con alcun genere di libertà. Si impegnò anche a far riprendere la foggia del vestito di un tempo: un giorno, dopo aver visto davanti all'assemblea del popolo una folla di gente malvestita, esclamando pieno di sdegno: «Ecco i Romani, padroni del mondo, il popolo che indossa la toga», diede incarico agli edili di non permettere, da allora in poi, che nel foro e nelle vicinanze si fermasse qualcuno se non dopo essersi tolto il mantello sopra la toga.

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