Divus Iulius Paragrafi da 46 a 50: versione tradotta - StudentVille

Divus Iulius, Paragrafi da 46 a 50

Paragrafo 46
Habitauit primo in Subura modicis aedibus post autem pontificatum maximum in Sacra uia domo publica. munditiarum lautitiarumque studiosissimum multi prodiderunt: uillam in Nemorensi a fundamentis incohatam magnoque sumptu absolutam quia non tota ad animum ei responderat totam diruisse quanquam tenuem adhuc et obaeratum; in expeditionibus tessellata et sectilia pauimenta circumtulisse.

Paragrafo 47
Britanniam petisse spe margaritarum quarum amplitudinem conferentem interdum sua manu exegisse pondus; gemmas toreumata signa tabulas operis antiqui semper animosissime comparasse; seruitia rectiora politioraque inmenso pretio et cuius ipsum etiam puderet sic ut rationibus uetaret inferri.

Paragrafo 48
Conuiuatum assidue per prouincias duobus tricliniis uno quo sagati palliatiue altero quo togati cum inlustrioribus prouinciarum discumberent. domesticam disciplinam in paruis ac maioribus rebus diligenter adeo seuereque rexit ut pistorem alium quam sibi panem conuiuis subicientem compedibus uinxerit libertum gratissimum ob adulteratam equitis Romani uxorem quamuis nullo querente capitali poena adfecerit.

Paragrafo 49
Pudicitiae eius famam nihil quidem praeter Nicomedis contubernium laesit graui tamen et perenni obprobrio et ad omnium conuicia exposito. omitto Calui Licini notissimos uersus:

Bithynia quicquid
et pedicator Caesaris umquam habuit.

praetereo actiones Dolabellae et Curionis patris in quibus eum Dolabella ‘paelicem reginae spondam interiorem regiae lecticae’ at Curio ‘stabulum Nicomedis et Bithynicum fornicem’ dicunt. missa etiam facio edicta Bibuli quibus proscripsit collegam suum Bithynicam reginam eique antea regem fuisse cordi nunc esse regnum. quo tempore ut Marcus Brutus refert Octauius etiam quidam ualitudine mentis liberius dicax conuentu maximo cum Pompeium regem appellasset ipsum reginam salutauit. sed C. Memmius etiam ad cyathum + et ui + Nicomedi stetisse obicit cum reliquis exoletis pleno conuiuio accubantibus nonnullis urbicis negotiatoribus quorum refert nomina. Cicero uero non contentus in quibusdam epistulis scripsisse a satellitibus eum in cubiculum regium eductum in aureo lecto ueste purpurea decubuisse floremque aetatis a Venere orti in Bithynia contaminatum quondam etiam in senatu defendenti ei Nysae causam filiae Nicomedis beneficiaque regis in se commemoranti: ‘remoue’ inquit ‘istaec oro te quando notum est et quid ille tibi et quid illi tute dederis.’ Gallico denique triumpho milites eius inter cetera carmina qualia currum prosequentes ioculariter canunt etiam illud uulgatissimum pronuntiauerunt: Gallias Caesar subegit Nicomedes Caesarem: ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem.

Paragrafo 50
Pronum et sumptuosum in libidines fuisse constans opinio est plurimasque et illustres feminas corrupisse in quibus Postumiam Serui Sulpici Lolliam Auli Gabini Tertullam Marci Crassi etiam Cn. Pompei Muciam. nam certe Pompeio et a Curionibus patre et filio et a multis exprobratum est quod cuius causa post tres liberos exegisset uxorem et quem gemens Aegisthum appellare consuesset eius postea filiam potentiae cupiditate in matrimonium recepisset. sed ante alias dilexit Marci Bruti matrem Seruiliam cui et proximo suo consulatu sexagiens sestertium margaritam mercatus est et bello ciuili super alias donationes amplissima praedia ex auctionibus hastae minimo addixit; cum quidem plerisque uilitatem mirantibus facetissime Cicero: ‘quo melius’ inquit ‘emptum sciatis tertia deducta’; existimabatur enim Seruilia etiam filiam suam Tertiam Caesari conciliare.

Versione tradotta

Paragrafo 46
Dapprima abitò in una modesta casa della Suburra; dopo il massimo pontificato, si trasferì in un palazzo pubblico sulla via Sacra. Molti riferiscono che fosse molto amante del lusso e della sontuosità: avrebbe fatto abbattere una villa nel bosco Nemorense, iniziata dalle fondamenta e pagata con una grande somma di denaro, poiché non corrispondeva completamente ai suoi desideri, e ciò benché fosse ancora povero e pieno di debiti; durante le sue spedizioni avrebbe importato pavimenti di marmo fatti a mosaico.
Paragrafo 47
Avrebbe aggredito la Britannia con la speranza di trovare le perle e che, per raccogliere le più grosse, più volte, di propria mano, ne avrebbe saggiato il peso. Dicono che collezionasse, continuamente e con grandissima passione, di pietre preziose, di vasi cesellati, di statue, di quadri di antica fattura; dicono anche che egli acquistasse gli schiavi più belli e più educati ad un prezzo elevatissimo, di cui egli stesso si vergognava a tal punto da vietare che fosse registrato nei suoi conti.

 
Paragrafo 48
Dicono che nelle province offrisse banchetti in continuazione, utilizzando due tavole: una per i suoi ufficiali e per i Greci, l’altra per i Romani e per i notabili del paese. In casa propria fissò una disciplina così precisa e rigorosa, sia nelle cose piccole, sia in quelle più grandi, che fece legare con i ceppi uno schiavo addetto alla panificazione perché serviva agli invitati un tipo di pane diverso dal suo e condannò alla pena di morte uno dei suoi più cari liberti, sebbene nessuno se ne lamentasse, perché aveva sedotto la moglie di un cavaliere romano.

 
Paragrafo 49
Certamente nulla tranne la sua convivenza presso Nicomede danneggiò il buon nome della sua pudicizia, ma con un disonore insopportabile e perenne ed esposto agli insulti di tutti.
Tralascio i conosciutissimi versi di Licinio Calvo: «… tutto ciò che mai la Bitinia possedette e l’amante di Cesare.» Lascio stare i discorsi di Dolabella e di Curione padre, nei quali il primo lo definisce «rivale della regina, sponda interna della lettiga regale» e il secondo «postribolo di Nicomede, lupanare bitinico». Non considero nemmeno le scritte con le quali, sui muri di Roma, Bibulo chiamò il suo collega «regina bitinica, al quale un tempo stava a cuore un re ed ora sta a cuore un regno». In quello stesso tempo, come riferisce Marco Bruto, un certo Ottavio, motteggiatore senza riguardi, dotato di acutezza di mente, dopo che davanti ad un’assemblea numerosissima aveva chiamato Pompeo col titolo di «re», salutò Cesare con il nome di «regina». Ma C. Memmio arriva perfino a rimproverarlo di aver servito Nicomede, come coppiere +e con la forza+, insieme con gli altri invertiti, nel mezzo di un banchetto al quale avevano partecipato alcuni commercianti romani, dei quali riporta i nomi. Cicerone, invero, non contento di aver scritto in alcune sue lettere che, portato dalle guardie nella camera del re, egli si sdraiava su un letto d’oro, con una veste purpurea e che il fiore della giovinezza di un discendente di Venere era stato contaminato in Bitinia, un giorno, anche in Senato disse a Cesare, che difendeva la causa di Nisa, la figlia di Nicomede, e ricordava i benefici del re nei suoi confronti: «Metti da parte queste cose, ti prego, dal momento che è noto quello che egli ha dato a te e quello che tu hai dato a lui sicuramente.». Infine, durante il trionfo sui Galli, tra gli altri versi satirici che i suoi soldati cantavano, secondo la tradizione, mentre scortavano il suo carro, declamarono anche questi, divenuti molto popolari: «Cesare ha sottomesso le Gallie, Nicomede ha sottomesso Cesare: ecco che ora trionfa Cesare, che ha sottomesso le Gallie, mentre Nicomede, che ha sottomesso Cesare, non riporta nessun trionfo.»

 
Paragrafo 50
Si concorda nell’affermare che fosse incline ai piaceri e assai generoso nei confronti di essi; inoltre che sedusse moltissime donne di nobile nascita, tra le quali Postumia, moglie di Servio Sulpicio, Lollia, moglie di Aulo Gabinio, Tertulla, moglie di Marco Crasso e anche la moglie di Gneo
Pompeo, Mucia. In ogni caso, infatti, dai due Curioni, padre e figlio, e da molti altri, fu rimproverato Pompeo del fatto che, per la sete del potere, aveva accettato in matrimonio proprio la figlia di colui a causa del quale aveva ripudiato la moglie, dopo tre figli, e che egli, lamentandosi, era solito chiamare «Egisto». Ma soprattutto Cesare amò Servilia, la madre di Marco Bruto: per lei, durante il suo primo consolato, acquistò una perla del valore di sei milioni di sesterzi e, durante la guerra civile, oltre alle altre donazioni, le fece aggiudicare al prezzo più basso possibile, grandissime proprietà messe all’asta; quando i più si meravigliavano del prezzo irrisorio, Cicerone, assai spiritosamente, disse: «Sappiate che l’acquisto fu ancora più vantaggioso, perché è stata dedotta la terza parte.» Si supponeva infatti che Servilia procurasse a Cesare anche i favori sessuali della figlia Terza.

 

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