Divus Iulius Paragrafi da 51 a 55: versione tradotta - StudentVille

Divus Iulius, Paragrafi da 51 a 55

Paragrafo 51
Ne prouincialibus quidem matrimoniis abstinuisse uel hoc disticho apparet iactato aeque a militibus per Gallicum triumphum: urbani seruate uxores: moechum caluom adducimus. aurum in Gallia effutuisti hic sumpsisti mutuum.

Paragrafo 52
Dilexit et reginas inter quas Eunoen Mauram Bogudis uxorem cui maritoque eius plurima et immensa tribuit ut Naso scripsit; sed maxime Cleopatram cum qua et conuiuia in primam lucem saepe protraxit et eadem naue thalamego paene Aethiopia tenus Aegyptum penetrauit nisi exercitus sequi recusasset quam denique accitam in urbem non nisi maximis honoribus praemiisque auctam remisit filiumque natum appellare nomine suo passus est. quem quidem nonnulli Graecorum similem quoque Caesari et forma et incessu tradiderunt. M. Antonius adgnitum etiam ab eo senatui adfirmauit quae scire C. Matium et C. Oppium reliquosque Caesaris amicos; quorum Gaius Oppius quasi plane defensione ac patrocinio res egeret librum edidit non esse Caesaris filium quem Cleopatra dicat. Heluius Cinna tr. pl. plerisque confessus est habuisse se scriptam paratamque legem quam Caesar ferre iussisset cum ipse abesset uti uxores liberorum quaerendorum causa quas et quot uellet ducere liceret. at ne cui dubium omnino sit et impudicitiae et adulteriorum flagrasse infamia Curio pater quadam eum oratione omnium mulierum uirum et omnium uirorum mulierem appellat.

Paragrafo 53
Vini parcissimum ne inimici quidem negauerunt. Marci Catonis est: unum ex omnibus Caesarem ad euertendam rem publicam sobrium accessisse. nam circa uictum Gaius Oppius adeo indifferentem docet ut quondam ab hospite conditum oleum pro uiridi adpositum aspernantibus ceteris solum etiam largius appetisse scribat ne hospitem aut neglegentiae aut rusticitatis uideretur arguere.

Paragrafo 54
Abstinentiam neque in imperiis neque in magistratibus praestitit. ut enim quidam monumentis suis testati sunt in Hispania pro consule et a sociis pecunias accepit emendicatas in auxilium aeris alieni et Lusitanorum quaedam oppida quanquam nec imperata detrectarent et aduenienti portas patefacerent diripuit hostiliter. in Gallia fana templaque deum donis referta expilauit urbes diruit saepius ob praedam quam ob delictum; unde factum ut auro abundaret ternisque milibus nummum in libras promercale per Italiam prouinciasque diuenderet. in primo consulatu tria milia pondo auri furatus e Capitolio tantundem inaurati aeris reposuit. societates ac regna pretio dedit ut qui uni Ptolemaeo prope sex milia talentorum suo Pompeique nomine abstulerit. postea uero euidentissimis rapinis ac sacrilegis et onera bellorum ciuilium et triumphorum ac munerum sustinuit impendia.

Paragrafo 55
Eloquentia militarique re aut aequauit praestantissimorum gloriam aut excessit. post accusationem Dolabellae haud dubie principibus patronis adnumeratus est. certe Cicero ad Brutum oratores enumerans negat se uidere cui debeat Caesar cedere aitque eum elegantem splendidam quoque atque etiam magnificam et generosam quodam modo rationem dicendi tenere; et ad Cornelium Nepotem de eodem ita scripsit: ‘quid? oratorem quem huic antepones eorum qui nihil aliud egerunt? quis sententiis aut acutior aut crebrior? quis uerbis aut ornatior aut elegantior?’ genus eloquentiae dum taxat adulescens adhuc Strabonis Caesaris secutus uidetur cuius etiam ex oratione quae inscribitur ‘pro Sardis’ ad uerbum nonnulla transtulit in diuinationem suam. pronuntiasse autem dicitur uoce acuta ardenti motu gestuque non sine uenustate. orationes aliquas reliquit inter quas temere quaedam feruntur. ‘pro Quinto Metello’ non immerito Augustus existimat magis ab actuaris exceptam male subsequentibus uerba dicentis quam ab ipso editam; nam in quibusdam exemplaribus inuenio ne inscriptam quidem ‘pro Metello’ sed ‘quam scripsit Metello’ cum ex persona Caesaris sermo sit Metellum seque aduersus communium obtrectatorum criminationes purgantis. ‘apud milites’ quoque ‘in Hispania’ idem Augustus uix ipsius putat quae tamen duplex fertur: una quasi priore habita proelio altera posteriore quo Asinius Pollio ne tempus quidem contionandi habuisse eum dicit subita hostium incursione.

Versione tradotta

Paragrafo 51
(Si afferma che) non si astenne nemmeno dalle donne della provincia, come appare evidente da questo distico, continuamente ripetuto dai soldati durante il trionfo sui Galli:
«Cittadini, sorvegliate le vostre donne: vi portiamo l’adultero calvo; in Gallia, o Cesare, hai dissipato con le donne il denaro che qui hai preso in prestito.»

 
Paragrafo 52
Amò anche le regine, tra le quali Eunce di Mauritania, moglie di Bogude: a lei e a suo marito, come scrive Nasone, donò moltissimi ed grandissimi beni; in modo particolare, però, amò Cleopatra, con la quale protrasse i banchetti fino all’alba e, sulla stessa nave dotata di camera da letto, avrebbe attraversato tutto l’Egitto se l’esercito non si fosse rifiutato di seguirlo. Infine dopo averla fatta venire a Roma, la rimandò in Egitto, non senza averla colmata dei più grandi onori e regali, e le permise di dare il proprio nome al figlio nato dal loro amore. Alcuni scrittori greci hanno raccontato che questo figlio assomigliasse moltissimo a Cesare sia nell’aspetto, sia nell’andatura. M. Antonio dichiarò in Senato che lo aveva riconosciuto per questo e che C. Marzio e C. Oppio e tutti gli altri amici di Cesare sapevano queste cose. Ma uno di costoro, e precisamente Oppio, ritenendo di dover difenderlo e giustificarlo apertamente, pubblicò un libro (sostenendo che) non era figlio di Cesare quello che Cleopatra attribuiva a lui. Elvio Cinna, tribuno della plebe, confidò a molti di avere un progetto di legge già scritto e pronto, che Cesare gli aveva ordinato di proporre quando egli fosse assente, che gli permetteva di sposare tutte le donne che volesse per assicurarsi la discendenza. Perché poi non vi sia più alcun dubbio che Cesare detenesse la pessima reputazione di sodomita e di adultero, Curione padre, in un suo discorso, lo definisce:
« marito di tutte le donne e moglie di tutti gli uomini».

 
Paragrafo 53
Anche i suoi nemici affermano che fu assai parco nel bere vino. È di Marco Catone il detto: «Fra tutti coloro che si apprestarono a rovesciare lo Stato, Cesare era l’unico sobrio.» Infatti, nei riguardi del cibo, Gaio Oppio lo rappresenta tanto indifferente da scrivere che, una volta, essendogli stato servito, da un ospite, olio rancido al posto di olio fresco, mentre tutti gli altri convitati lo rifiutavano, soltanto lui lo apprezzò perfino in quantità più abbondante, per non dare l’idea di rimproverare l’ospite della sua negligenza o del suo scarso buon gusto.

 
Paragrafo 54
Conservò la moderazione né durante i periodi di comando, né durante le sue magistrature. Come attestano alcuni autori nei propri scritti, infatti, quando era proconsole in Spagna, riuscì a prendere denaro dai suoi alleati, dopo averlo mendicato, per pagare i suoi debiti, e distrusse, come nemiche, alcune città dei Lusitani, sebbene non si fossero rifiutate di versare i tributi imposti e gli avessero aperto le porte mentre egli stava arrivando. In Gallia depredò i santuari e i templi degli dei, piene di offerte votive e distrusse città più spesso per il bottino che per rappresaglia; perciò accadde che fosse così pieno d’oro da farlo vendere in giro per l’ Italia e per le province a tremila sesterzi la libbra. Durante il suo primo consolato, dopo aver sottratto dal Campidoglio tremila libbre, al loro posto collocò un peso uguale di bronzo dorato. Concesse alleanze e regni, a pagamento, al punto che al solo Tolomeo estorse, a nome suo e di Pompeo, circa seimila talenti.
È chiaro quindi che con l’aiuto di queste evidentissimi sacrilegi e rapine, riuscì a sostenere sia gli oneri delle guerre civili, sia le spese dei trionfi e degli spettacoli.

 
Paragrafo 55
Nell’eloquenza e nell’arte militare o raggiunse o superò la gloria dei personaggi più illustri. Dopo la sua requisitoria contro Dolabella fu senza dubbio annoverato tra i primi avvocati. Ad ogni modo Cicerone, elencando nel suo «Bruto» gli oratori, dice di non «vedere proprio a chi Cesare debba essere inferiore» e aggiunge che «egli è elegante e che ha anche un modo di parlare splendido, magnifico e in un certo senso nobile»; inoltre a Cornelio Nepote scrisse così nei riguardi del medesimo (Cesare): «Cosa? Quale oratore gli preferisci tra quelli che si sono dedicati a nient’altro che all’eloquenza? Chi è più acuto o ricco nelle battute? Chi più elegante e raffinato nella scelta delle parole?» Sembra che, solamente fino alla sua giovinezza, abbia seguito il genere di eloquenza di Cesare Strabone, dal cui discorso che si intitola «A favore dei Sardi» riportò, parola per parola, alcuni passi nella sua «Divinazione». Parlava, almeno così si dice, con voce penetrante, con movimenti e gesti veementi e non senza eleganza. Lasciò qualche orazione e tra queste alcune gli sono attribuite sconsideratamente. A buon diritto Augusto ritiene che il testo dell’orazione «In favore di Quinto Metello» sia stato scritto da stenografi che seguivano male le parole di Cesare mentre parlava, e non pubblicato da lui stesso. Infatti in alcuni esemplari trovo scritto non certo «Discorso in favore di Metello» ma «Discorso che ha scritto per Metello», poiché Cesare in persona parla per difendere sia se stesso, sia Metello dalle accuse dei loro comuni denigratori. Anche i «Discorsi davanti ai soldati in Spagna» Augusto a mala pena li considera di Cesare, e tuttavia due gli vengono attribuiti: uno avrebbe avuto luogo una volta concluso il primo combattimento, l’altro dopo il secondo; ma Asinio Pollione afferma che in questo combattimento non ebbe nemmeno il tempo di pronunciare un discorso a causa di un’ improvvisa irruzione dei nemici.

 

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