Paragrafo 6
Quaestor Iuliam amitam uxoremque Corneliam defunctas laudauit e more pro rostris. et in amitae quidem laudatione de eius ac patris sui utraque origine sic refert: ‘Amitae meae Iuliae maternum genus ab regibus ortum paternum cum diis inmortalibus coniunctum est. nam ab Anco Marcio sunt Marcii Reges quo nomine fuit mater; a Venere Iulii cuius gentis familia est nostra. est ergo in genere et sanctitas regum qui plurimum inter homines pollent et caerimonia deorum quorum ipsi in potestate sunt reges.’ In Corneliae autem locum Pompeiam duxit Quinti Pompei filiam L. Sullae neptem; cum qua deinde diuortium fecit adulteratam opinatus a Publio Clodio quem inter publicas caerimonias penetrasse ad eam muliebri ueste tam constans fama erat ut senatus quaestionem de pollutis sacris decreuerit.
Paragrafo 7
Quaestori ulterior Hispania obuenit; ubi cum mandatu pr(aetoris) iure dicundo conuentus circumiret Gadisque uenisset animaduersa apud Herculis templum Magni Alexandri imagine ingemuit et quasi pertaesus ignauiam suam quod nihil dum a se memorabile actum esset in aetate qua iam Alexander orbem terrarum subegisset missionem continuo efflagitauit ad captandas quam primum maiorum rerum occasiones in urbe. etiam confusum eum somnio proximae noctis + nam uisus erat per quietem stuprum matri intulisse + coiectores ad amplissimam spem incitauerunt arbitrium terrarum orbis portendi interpretantes quando mater quam subiectam sibi uidisset non alia esset quam terra quae omnium parens haberetur.
Paragrafo 8
Decedens ergo ante tempus colonias Latinas de petenda ciuitate agitantes adiit et ad audendum aliquid concitasset nisi consules conscriptas in Ciliciam legiones paulisper ob id ipsum retinuissent.
Paragrafo 9
Nec eo setius maiora mox in urbe molitus est: siquidem ante paucos dies quam aedilitatem iniret uenit in suspicionem conspirasse cum Marco Crasso consulari item Publio Sulla et L. Autronio post designationem consulatus ambitus condemnatis ut principio anni senatum adorirentur et trucidatis quos placitum esset dictaturam Crassus inuaderet ipse ab eo magister equitum diceretur constitutaque ad arbitrium re publica Sullae et Autronio consulatus restitueretur. meminerunt huius coniurationis Tanusius Geminus in historia Marcus Bibulus in edictis C. Curio pater in orationibus. de hac significare uidetur et Cicero in quadam ad Axium epistula referens Caesarem in consulatu confirmasse regnum de quo aedilis cogitarat. Tanusius adicit Crassum paenitentia uel metu diem caedi destinatum non obisse et idcirco ne Caesarem quidem signum quod ab eo dari conuenerat dedisse; conuenisse autem Curio ait ut togam de umero deiceret. idem Curio sed et M. Actorius Naso auctores sunt conspirasse eum etiam cum Gnaeo Pisone adulescente cui ob suspicionem urbanae coniurationis prouincia Hispania ultro extra ordinem data sit; pactumque ut simul foris ille ipse Romae ad res nouas consurgerent per Ambranos et Transpadanos; destitutum utriusque consilium morte Pisonis.
Paragrafo 10
Aedilis praeter comitium ac forum basilicasque etiam Capitolium ornauit porticibus ad tempus extructis in quibus abundante rerum copia pars apparatus exponeretur. uenationes autem ludosque et cum collega et separatim edidit quo factum est ut communium quoque inpensarum solus gratiam caperet nec dissimularet collega eius Marcus Bibulus euenisse sibi quod Polluci: ut enim geminis fratribus aedes in foro constituta tantum Castoris uocaretur ita suam Caesarisque munificentiam unius Caesaris dici. adiecit insuper Caesar etiam gladiatorium munus sed aliquanto paucioribus quam destinauerat paribus; nam cum multiplici undique familia conparata inimicos exterruisset cautum est de numero gladiatorum quo ne maiorem cuiquam habere Romae liceret.
Versione tradotta
In veste di questore, dalla tribuna dei rostri pronunciò, secondo la consuetudine, il discorso funebre in onore della zia Giulia e della moglie Cornelia che erano morte. Proprio nell'elogio della zia riferì questa duplice origine di lei e di suo padre: «La stirpe materna di mia zia Giulia ha origine dai re, quella paterna si congiunge con gli dei immortali. Infatti da Anco Marzio discendono i Marzii, e tale fu il nome di sua madre. Da Venere hanno origine i Giulii, alla cui gente appartiene la nostra famiglia.
Vi è dunque nella stirpe il carattere sacro dei re, che si innalzano sugli uomini, e la solennità degli dei, sotto il cui potere si trovano gli stessi re. In luogo di Cornelia sposò poi Pompea, figlia di Quinto Pompeo e nipote di L. Silla; da lei divorziò più tardi, sospettandola di adulterio con Publio Clodio.
Sul fatto che Clodio si fosse introdotto da lei, in abiti femminili, durante una pubblica cerimonia religiosa, circolava una diceria tanto concorde che il Senato decretò un'inchiesta per sacrilegio.
Sempre come questore gli fu assegnata la Spagna Ulteriore; qui, con delega del pretore, percorse i luoghi di riunione per amministrare la giustizia, finché giunse a Cadice dove, vista la statua di Alessandro Magno presso il tempio di Ercole, si mise a piangere, quasi vergognandosi della sua inettitudine, per il fatto che non avesse fatto nulla di memorabile all'età in cui Alessandro aveva già sottomesso il globo terrestre. Allora chiese immediatamente un incarico a Roma per cogliere al più presto l'occasione di compiere grandi imprese. Nello stesso tempo, turbato da un sogno della notte precedente (aveva sognato infatti di violentare sua madre), fu incitato a nutrire le più grandi speranze dagli stessi indovini che gli vaticinarono il dominio del mondo, dal momento che gli spiegarono che la madre, che aveva visto giacere sotto di lui, non era altro che la terra stessa, la quale era considerata madre di tutti.
Ritirandosi, dunque, prima del tempo, dalla provincia, si recò a visitare le colonie latine che lottavano per ottenere i diritti di cittadinanza e avrebbe tentato qualche grosso colpo, se i consoli, proprio per questo motivo, non avessero trattenuto per un po' di tempo le legioni arruolate per un'operazione militare in Cilicia.
Non di meno anche a Roma tentò qualcosa di più grande: infatti pochi giorni prima di accedere alla carica di edile, venne sospettato di aver complottato con l'ex console Marco Crasso, d'accordo con Publio Silla e con L. Autronio, condannati per broglio elettorale, dopo essere stati designati consoli, al punto da attaccare il Senato al principio dell'anno cosicché, uccisi tutti quelli che avevano preventivamente stabilito, Crasso sarebbe divenuto dittatore, Cesare sarebbe stato da lui nominato maestro della cavalleria e, organizzato lo Stato a loro piacimento, sarebbe stato riconferito il consolato a Silla e Autronio. Fanno menzione di questa congiura Tanusio Gemino, nella sua storia, Marco Bibulo nei suoi editti, e C. Curione, il padre, nelle sue orazioni. Anche Cicerone, in una lettera ad Assio, sembra alludere a questo complotto quando dice che Cesare, una volta console, si assicurò quella sovranità che si era promesso come edile. Tanusio aggiunge che Crasso, o perché pentito, o perché timoroso, non si fece vedere il giorno stabilito per la strage, e di conseguenza neppure Cesare diede il segnale che si era convenuto secondo gli accordi.
Curione dice che, come segnale, Cesare avrebbe dovuto far cadere la toga dalla spalla. Lo stesso Curione, ma anche M. Actorio Nasone, affermano che aveva pure cospirato con il giovane Gneo Pisone, al quale, proprio a causa del sospetto di una congiura a Roma, sarebbe stata assegnata, in via straordinaria, la provincia spagnola. Si sarebbero accordati per provocare una rivoluzione, nello stesso tempo, Pisone fuori e Cesare a Roma, per mezzo degli Ambroni e i Galli Traspadani; a causa della morte di Pisone, il duplice progetto fu abbandonato.
In qualità di edile, adornò non solo il comizio, ma anche il foro e le basiliche di portici provvisori per esporvi una parte delle molte opere d'arte che possedeva. Organizzò, o con la collaborazione del collega in carica, o per conto proprio, battute di caccia e giochi; perciò avvenne che anche delle spese comuni si ringraziava soltanto lui e il suo collega Marco Bibulo non nascondeva che gli era toccata la stessa sorte di Polluce: come infatti il tempio dei due fratelli gemelli, eretto nel foro, veniva indicato soltanto con il nome di Castore, così la generosità sua e di Cesare soltanto a Cesare era attribuita. Inoltre Cesare aggiunse anche un combattimento di gladiatori, tuttavia meno grandioso di quello che aveva progettato; infatti poiché una enorme quantità di gladiatori, raccolta da ogni parte, aveva spaventato i suoi nemici, si stabilì che a nessun cittadino fosse lecito possederne a Roma più di un certo numero di gladiatori.
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