Paragrafo 71
Ex quibus sive criminibus sive maledictis infamiam impudicitiae facillime refutavit et praesentis et posterae vitae castitate; item lautitiarum invidiam cum et Alexandria capta nihil sibi praeter unum murrinum calicem ex instrumento regio retinuerit et mox vasa aurea assiduissimi usus conflaverit omnia. Circa libidines haesit postea quoque ut ferunt ad vitiandas virgines promptior quae sibi undique etiam ab uxore conquirerentur. Aleae rumorem nullo modo expavit lusitque simpliciter et palam oblectamenti causa etiam senex ac praeterquam Decembri mense aliis quoque festis et profestis diebus. Nec id dubium est. Autographa quadam epistula: “Cenavi” ait “mi Tiberi cum iisdem; accesserunt convivae Vinicius et Silius pater. Inter cenam lusimus geronticos et heri et hodie; talis enim iactatis ut quisque canem aut senionem miserat in singulos talos singulos denarios in medium conferebat quos tollebat universos qui Venerem iecerat.” Et rursus aliis litteris: “Nos mi Tiberi Quinquatrus satis iucunde egimus; lusimus enim per omnis dies forumque aleatorium calfecimus. Frater tuus magnis clamoribus rem gessit; ad summam tamen perdidit non multum sed ex magnis detrimentis praeter spem paulatim retractum est. Ego perdidi viginti milia nummum meo nomine sed cum effuse in lusu liberalis fuissem ut soleo plerumque. Nam si quas manus remisi cuique exegissem aut retinuissem quod cuique donavi vicissem vel quinquaginta milia. Sed hoc malo; benignitas enim mea me ad caelestem gloriam efferet.” Scribit ad filiam: “Misi tibi denarios ducentos quinquaginta quos singulis convivis dederam si vellent inter se inter cenam vel talis vel par impar ludere.”
Paragrafo 72
In ceteris partibus vitae continentissimum constat ac sine suspicione ullius vitii. Habitavit primo iuxta Romanum Forum supra Scalas anularias in domo quae Calvi oratoris fuerat; postea in Palatio sed nihilo minus aedibus modicis Hortensianis et neque laxitate neque cultu conspicuis ut in quibus porticus breves essent Albanarum columnarum et sine marmore ullo aut insigni pavimento conclavia. Ac per annos amplius quadraginta eodem cubiculo hieme et aestate mansit quamvis parum salubrem valitudini suae urbem hieme experiretur assidueque in urbe hiemaret. Si quando quid secreto aut sine interpellatione agere proposuisset erat illi locus in edito singularis quem Syracusas et technophnon vocabat; huc transibat aut in alicuius libertorum suburbanum; aeger autem in domo Maecenatis cubabat. Ex secessibus praecipue frequentavit maritima insulasque Campaniae aut proxima urbi oppida Lanuvium Praeneste Tibur ubi etiam in porticibus Herculis templi persaepe ius dixit. Ampla et operosa praetoria gravabatur. Et neptis quidem suae Iuliae profuse ab ea exstructa etiam diruit ad solum sua vero quamvis modica non tam statuarum tabularumque pictarum ornatu quam xystis et nemoribus excoluit rebusque vetustate ac raritate notabilibus qualia sunt Capreis immanium beluarum ferarumque membra praegrandia quae dicuntur gigantum ossa et arma heroum.
Paragrafo 73
Instrumenti eius et supellectilis parsimonia apparet etiam nunc residuis lectis atque mensis quorum pleraquc vix privatae elegantiae sint. Ne toro quidem cubuisse aiunt nisi humili et modice instrato. Veste non temere alia quam domestica usus est ab sorore et uxore et filia neptibusque confecta; togis neque restrictis neque fusis clavo nec lato nec angusto calciamentis altiusculis ut procerior quam erat videretur. Et forensia autem et calceos numquam non intra cubiculum habuit ad subitos repentinosque casus parata.
Paragrafo 74
Convivabatur assidue nec umquam nisi recta non sine magno ordinum hominumque dilectu. Valerius Messala tradit neminem umquam libertinorum adhibitum ab eo cenae excepto Mena sed asserto in ingenuitatem post proditam Sexti Pompei classem. Ipse scribit invitasse se quendam in cuius villa maneret qui speculator suus olim fuisset. Convivia nonnumquam et serius inibat et maturius relinquebat cum convivae et cenare inciperent prius quam ille discumberet et permanerent digresso eo. Cenam ternis ferculis aut cum abundantissime senis praebebat ut non nimio sumptu ita summa comitate. Nam et ad communionem sermonis tacentis vel summissim fabulantis provocabat et aut acroamata et histriones aut etiam triviales ex circo ludios interponebat ac frequentius aretalogos.
Paragrafo 75
Festos et sollemnes dies profusissime nonnumquam tantum ioculariter celebrabat. Saturnalibus et si quando alias libuisset modo munera dividebat vestem et aurum et argentum modo nummos omnis notae etiam veteres regios ac peregrinos interdum nihil praeter cilicia et spongias et rutabula et forpices atque alia id genus titulis obscuris et ambiguis. Solebat et inaequalissimarum rerum sortes et aversas tabularum picturas in convivio venditare incertoque casu spem mercantium vel frustrari vel explere ita ut per singulos lectos licitatio fieret et seu iactura seu lucrum communicaretur.
Versione tradotta
Tra tutte queste accuse e tutte queste calunnie, più facilmente confutò l'imputazione di sodomia attraverso lintegrità dei suoi costumi sia in quellepoca, sia in quella successiva; poi smentì il rimprovero di amare il lusso perché dopo la conquista di Alessandria, di tutto il tesoro regale si riservò soltanto un vaso mirrino e più tardi fece fondere tutti i suoi vasi d'oro, di uso molto corrente. Alla libidine invece rimase sempre incline e anche in seguito, come dicono, sempre disposto a deflorare le vergini che persino da sua moglie erano ricercate da ogni parte. Non si preoccupò in alcun modo della sua reputazione di giocatore di dadi, e per divertimento continuò a giocare, apertamente e senza farne mistero, anche da vecchio, e oltre che in dicembre, anche in tutti gli altri mesi, nei giorni lavorativi e in quelli festivi. Di ciò non vi è nessun dubbio: in una lettera autografa egli scrisse: «Ho cenato, mio caro Tiberio, con le stesse persone; a questo banchetto si hanno partecipato Vinicio e Silio, il padre: durante la cena abbiamo giocato come dei vecchi, sia ieri, sia oggi. Infatti, una volta gettati i dadi, ogni volta che ciascuno di noi aveva ottenuto il colpo del cane o il sei, aggiungeva alla posta un denaro per ogni dado e quelli che facevano il colpo di Venere si prendevano tutto.» Dice ancora in un'altra lettera: «Mio caro Tiberio, abbiamo passato piuttosto piacevolmente le Quinquatri: infatti abbiamo giocato durante tutti questi giorni e abbiamo riscaldato il tavolo da gioco. Tuo fratello ha partecipato al gioco con grandi schiamazzi: insomma, ad ogni modo, non ha perduto molto, ma dopo grandi perdite, a poco a poco si è rifatto più di quanto sperasse. Personalmente ho perduto ventimila sesterzi, ma perché, come sono solito fare generalmente, sono stato eccessivamente generoso nel gioco. Infatti, se avessi preteso le poste che ho condonato a ciascuno o se avessi tenuto ciò che ho donato a ciascuno, ne avrei vinti almeno cinquantamila. Ma preferisco così: infatti la mia generosità mi innalzerà fino alla gloria celeste.» Alla figlia scrive: «Ti ho mandato duecentocinquanta denari, somma che avevo dato a ciascuno dei miei convitati, nel caso volessero giocarli tra loro, durante la cena, sia ai dadi, sia a pari e dispari.»
In tutti gli altri aspetti di vita, risulta assai moderato e senza il sospetto di alcun vizio. All'inizio abitò vicino al Foro Romano, sopra le scale degli orefici, nella casa che era stata dell'oratore Calvo; in seguito si trasferì sul Palatino, tuttavia nella casa modesta di Ortensio, non certo notevole per ampiezza e per lusso, tale che le colonne dei suoi portici, per altro piuttosto brevi, erano di pietra del monte Albano, mentre le stanze erano senza marmo né lastricato prezioso. Per più di quarant'anni rimase nella stessa camera, sia d'estate, sia d'inverno, sebbene conoscesse come poco adatto alla sua salute la città di Roma in inverno e benché vi svernasse costantemente. Se si era proposto di lavorare in solitudine o senza essere disturbato, vi era per lui uno studiolo al piano superiore che chiamava la sua «Siracusa» o il suo «ufficio tecnico»: qui si ritirava, o anche nella tenuta di periferia di uno dei suoi liberti; quando era malato, invece, dormiva nella casa di Mecenate. Tra i luoghi di villeggiatura frequentò soprattutto le coste e le isole della Campania, o le città vicine a Roma, come Lanuvio, Preneste, Tivoli, dove molto spesso amministrò anche la giustizia sotto i portici del tempio di Ercole. Detestava le case di campagna ampie e lussuose. Fece radere al suolo perfino la casa fatta costruire con splendore da sua nipote Giulia, mentre fece abbellire le sue, sebbene modeste, non solo con statue e con quadri, ma anche con porticati e con boschetti, e pure con oggetti notevoli per antichità e rarità, come sono i resti enormi di straordinarie bestie mostruose scoperti a Capri, i quali sono chiamati ossa dei giganti e armi degli eroi.
La frugalità del suo materiale domestico e del suo arredamento è tuttora visibile dai letti e dalle tavole giunte fino a noi, la maggior parte dei quali a stento si addicono ad un eleganza privata. Dicono che egli dormisse solo su un letto modesto e non molto soffice. Non indossò altra veste che una tunica confezionata in casa da sua sorella, da sua moglie, da sua figlia o dalle sue nipoti; portò toghe né strette né larghe, una lista di porpora né grande né piccola, scarpe piuttosto alte, per sembrare più alto di quanto fosse davvero. Inoltre tenne sempre nella sua camera abiti di cerimonia e calzari, pronti per i casi imprevisti e improvvisi.
Banchettava costantemente, ma sempre secondo la regola, e con grande selezione di uomini e di ordini. Valerio Messala narra che nessun liberto fu mai ammesso alle sue cene, tranne Mena, ma dopo che fu dichiarato un cittadino libero per nascita, dopo aver consegnato la flotta di Sesto Pompeo. Augusto stesso scrive che un giorno invitò un tale, nella cui casa di campagna si trovava, che un tempo era stato una sua guardia del corpo. Talvolta arrivava ai banchetti in ritardo o li abbandonava prima della fine del pasto, mentre anche i convitati cominciavano a mangiare prima che egli giungesse e vi rimanevano dopo che se n'era andato. Offriva una cena con tre portate o sei, se proprio voleva abbondare, non solo senza spendere eccessivamente, ma anche con estrema amabilità. Infatti trascinava gli ospiti che tacevano o parlavano a voce bassa in una conversazione generale o faceva intervenire artisti, attori e anche volgari pantomimi del circo, più spesso buffoni.
Celebrava i giorni di festa e le solennità con grande sontuosità e talvolta soltanto scherzosamente. Per i Saturnali e talora in altre circostanze, secondo il suo gradimento, ora faceva distribuire doni, vestiti, oro e argento, ora monete di ogni conio, anche antiche, del periodo dei re, o straniere, a volte nientaltro che coperte di soldati, spugne, palette per il fuoco, pinze e altri oggetti di tal genere con annotazioni oscure e ambigue. Era solito, durante i banchetti, mettere in vendita blocchi di oggetti di valore assai diverso e di quadri rivoltati per frustrare o per alimentare, nellincertezza, la speranza dei compratori, cosicché presso ciascun divano aveva luogo una vendita all'asta e venivano dichiarati sia guadagni sia perdite.
- Letteratura Latina
- Divus Augustus di Svetonio
- Svetonio