Paragrafo 86
Suspicionem Caesar quibusdam suorum reliquit neque uoluisse se diutius uiuere neque curasse quod ualitudine minus prospera uteretur ideoque et quae religiones monerent et quae renuntiarent amici neglexisse. sunt qui putent confisum eum nouissimo illo senatus consulto ac iure iurando etiam custodias Hispanorum cum gladiis + adinspectantium + se remouisse. alii e diuerso opinantur insidias undique imminentis subire semel quam cauere [ . . . . . . ] solitum ferunt: non tam sua quam rei publicae interesse uti saluus esset: se iam pridem potentiae gloriaeque abunde adeptum; rem publicam si quid sibi eueniret neque quietam fore et aliquanto deteriore condicione ciuilia bella subituram.
Paragrafo 87
Illud plane inter omnes fere constitit talem ei mortem paene ex sententia obtigisse. nam et quondam cum apud Xenophontem legisset Cyrum ultima ualitudine mandasse quaedam de funere suo aspernatus tam lentum mortis genus subitam sibi celeremque optauerat; et pridie quam occideretur in sermone nato super cenam apud Marcum Lepidum quisnam esset finis uitae commodissimus repentinum inopinatumque praetulerat.
Paragrafo 88
Periit sexto et quinquagensimo aetatis anno atque in deorum numerum relatus est non ore modo decernentium sed et persuasione uolgi. siquidem ludis quos primo[s] consecrato[s] ei heres Augustus edebat stella crinita per septem continuos dies fulsit exoriens circa undecimam horam creditumque est animam esse Caesaris in caelum recepti; et hac de causa simulacro eius in uertice additur stella. Curiam in qua occisus est obstrui placuit Idusque Martias Parricidium nominari ac ne umquam eo die senatus ageretur.
Paragrafo 89
Percussorum autem fere neque triennio quisquam amplius superuixit neque sua morte defunctus est. damnati omnes alius alio casu periit pars naufragio pars proelio; nonnulli semet eodem illo pugione quo Caesarem uiolauerant interemerunt.
Versione tradotta
Ad alcuni suoi amici Cesare lasciò il sospetto che non avesse voluto vivere più a lungo e che non si fosse preoccupato del fatto che si trovava in peggiori condizioni di salute; perciò non si curò né di quello che preannunciavano i prodigi né di ciò che gli riferivano gli amici. Cè chi crede che Cesare, confidando nel decreto più recente del Senato e nel giuramento dei Senatori, abbia congedato le guardie spagnole che lo + scortavano + armate di gladio. Altri, al contrario, ritengono che [avrebbe preferito essere vittima] una buona volta delle insidie che incombevano da ogni parte, piuttosto che stare in guardia di continuo. Dicono che fosse solito ripetere che «non tanto a lui, quanto allo Stato stava a cuore la sua salvezza: egli già da tempo aveva ottenuto molta potenza e molta gloria; se gli fosse capitato qualcosa, lo Stato non sarebbe stato tranquillo e in condizioni decisamente peggiori avrebbe subito un'altra guerra civile».
Su una cosa quasi tutti concordarono completamente, cioè che in un certo senso gli era toccata in sorte la morte secondo la sua volontà. Infatti una volta, dopo aver letto in Senofonte che Ciro, durante la sua ultima malattia, aveva dato alcune disposizioni per il suo funerale, provò disgusto per un tipo di morte così lento e se ne augurò una improvvisa e rapida. Il giorno prima di essere ucciso, nel corso di una discussione, sorta a pranzo da Marco Lepido, su quale fosse il genere di morte più opportuno, egli aveva preferito quello improvviso e inaspettato.
Morì a cinquantacinque anni e fu annoverato tra gli dei, non solo per bocca di coloro che lo decretarono, ma anche per intima convinzione del popolo. In realtà, nel corso dei primi giochi che Augusto, suo erede, celebrava in suo onore, dopo averli consacrati, una cometa risplendette per sette giorni di seguito, sorgendo verso l'undicesima ora e si credé che fosse l'anima di Cesare accolto in cielo; anche per questo motivo si aggiunse una stella alla sommità della sua statua.
Si decise di murare la curia in cui fu ucciso, di chiamare le idi di marzo «giorno del parricidio» e che in quel giorno il Senato non dovesse riunirsi mai.
Dei suoi assassini, poi, quasi nessuno gli sopravvisse più di tre anni e nessuno morì di morte naturale. Tutti, dopo essere stati condannati, chi in una circostanza, chi in unaltra, perirono in parte in naufragio, in parte in battaglia; alcuni poi si uccisero con lo stesso pugnale con il quale avevano colpito Cesare.
- Letteratura Latina
- Divus Iulius di Svetonio
- Svetonio