Bellum Iugurthinum, Paragrafo 10 - Studentville

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 10

“Paruum ego te Iugurtha amisso patre sine spe sine opibus in meum regnum accepi existimans non minus me tibi quam liberis si

genuissem ob beneficia carum fore. Neque ea res falsum me habuit. Nam ut alia magna et egregia tua omittam novissime rediens

Numantia meque regnumque meum gloria honorauisti tuaque virtute nobis Romanos ex amicis amicissimos fecisti. In Hispania nomen

familiae renovatum est. Postremo quod difficillimum inter mortalis est gloria invidiam vicisti. Nunc quoniam mihi natura finem

vitae facit per hanc dexteram per regni fidem moneo obtestorque te uti hos qui tibi genere propinqui beneficio meo fratres sunt

caros habeas neu malis alienos adiungere quam sanguine coniunctos retinere. Non exercitus neque thesauri praesidia regni sunt

verum amici quos neque armis cogere neque auro parare queas: officio et fide pariuntur. Quis autem amicior quam frater fratri?

Aut quem alienum fidum invenies si tuis hostis fueris? Equidem ego vobis regnum trado firmum si boni eritis sin mali

inbecillum. Nam concordia paruae res crescunt discordia maximae dilabuntur. Ceterum ante hos te Iugurtha qui aetate et

sapientia prior es ne aliter quid eveniat prouidere decet. Nam in omni certamine qui opulentior est etiam si accipit iniuriam

tamen quia plus potest facere videtur. Vos autem Adherbal et Hiempsal colite obseruate talem hunc virum imitamini virtutem et

enitimini ne ego meliores liberos sumpsisse videar quam genuisse.”

Versione tradotta

«Eri ancora piccolo, Giugurta, orfano

di padre, privo di speranze e di
fortuna quando io ti accolsi nel mio regno, convinto che per i miei

benefici mi avresti amato non meno dei miei figli, se ne avessi generato.
E non mi sono ingannato, perché,

tralasciando pure altre tue grandi e
nobili imprese, ultimamente, ritornando da Numanzia, hai coperto di gloria

me e il mio regno: per il tuo valore i Romani da amici ci sono diventati
amicissimi. In Spagna il nome della

nostra famiglia si è rinverdito. E
infine, cosa difficilissima tra gli uomini, con la tua gloria hai vinto

l'invidia. Ora, poiché per legge inevitabile di natura la mia vita è al
termine, io ti prego e ti scongiuro, per

questa destra e per la fedeltà
alla corona, di avere cari questi, che ti sono per nascita cugini e per
mia

benevola scelta fratelli, e di non voler cercare l'amicizia degli
estranei anziché conservare quella dei congiunti

per sangue. Non gli
eserciti né i tesori sono il sostegno del regno, ma gli amici, che non si
ottengono

con le armi, né si comprano con l'oro: si acquistano con i
benefici e la lealtà. E chi è più amico del fratello al

fratello? O
quale estraneo troverai fedele, essendo nemico dei tuoi? Io vi lascio un
regno stabile, se

sarete retti, debole se malvagi. La concordia, infatti,
fa prosperare i piccoli stati, la discordia fa crollare anche

i più
grandi. Nondimeno, più che a loro, spetta a te, Giugurta, che li precedi
per età e per senno, di

provvedere che non accada altrimenti, perché in
ogni contesa il più forte, anche se ha subito il torto, siccome può

di
più, pare che lo abbia fatto. Ma voi, Aderbale e Iempsale, rispettate e
onorate un uomo come questo:

imitandone la virtù cercate di dimostrare che
io non ho adottato figli più capaci di quelli che ho generato».

  • Letteratura Latina
  • Par 1-29
  • Sallustio

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