Nunc me una consolatio sustentat quod tibi T. Anni nullum a ille amoris nullum studi nullum pietatis officium defuit. Ego inimicitias potentium pro te appetivi; ego meum saepe corpus et vitam obieci armis inimicorum tuorum; ego me plurimis pro te supplicem abieci; bona fortunas meas ac liberorum meorum in communionem tuorum temporum contuli: hoc denique ipso die si quae vis est parata si quae dimicatio capitis futura deposco. Quid iam restat? Quid habeo quod faciam pro tuis in me meritis nisi ut eam fortunam quaecumque erit tua ducam meam? Non recuso non abnuo; vosque obsecro iudices ut vestra beneficia quae in me contulistis aut in huius salute augeatis aut in eiusdem exitio occasura esse videatis.
Versione tradotta
Mi sorregge, adesso, un unico motivo di conforto: la certezza che da parte mia, T. Annio, non ti è venuto meno alcun dovere d'affetto, d'amicizia, di devozione. Io per te ho sfidato le inimicizie dei potenti, io per te ho offerto spesso il mio corpo e la mia vita alle armi dei tuoi nemici, io per te mi sono gettato supplice ai piedi di molti e ho messo a disposizione delle tue tristi vicende i beni e le sostanze mie e dei miei figli; oggi stesso, infine, se si prospetta una qualche violenza, se c'è un qualche pericolo di vita, su di me io li invoco. Che cos'altro ormai mi resta? Che cosa potrei fare in cambio delle tue azioni meritorie nei miei confronti, se non considerare mia quella che sarà la tua sorte? Non la rifiuto, non mi sottraggo e vi supplico, giudici, o di accrescere con la salvezza di Milone i benefici di cui mi avete colmato o di considerarli perduti con la sua condanna.
- Letteratura Latina
- Pro Milone di Cicerone
- Cicerone