Bellum Iugurthinum, Paragrafo 101 - Studentville

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 101

Igitur quarto denique die haud longe ab oppido Cirta undique simul

speculatores citi sese ostendunt qua re hostis adesse intellegitur. Sed quia diuersi redeuntes alius ab alia parte atque omnes

idem significabant consul incertus quonam modo aciem instrueret nullo ordine commutato aduersum omnia paratus ibidem opperitur.

Ita Iugurtham spes frustrata qui copias in quattuor partis distribuerat ratus ex omnibus aeque aliquos ab tergo hostibus

venturos. Interim Sulla quem primum hostes attigerant cohortatus suos turmatim et quam maxime confertis equis ipse aliique

Mauros invadunt ceteri in loco manentes ab iaculis eminus emissis corpora tegere et si qui in manus venerant obtruncare. Dum eo

modo equites proeliantur Bocchus cum peditibus quos Volux filius eius adduxerat neque in priore pugna in itinere morati

affuerant postremam Romanorum aciem invadunt. Tum Marius apud primos agebat quod ibi Iugurtha cum plurimis erat. Dein Numida

cognito Bocchi adventu clam cum paucis ad pedites conuertit. Ibi Latine–nam apud Numantiam loqui didicerat–exclamat nostros

frustra pugnare paulo ante Marium sua manu interfectum simul gladium sanguine oblitum ostentans quem in pugna satis impigre

occiso pedite nostro cruentauerat. Quod ubi milites accepere magis atrocitate rei quam fide nuntii terrentur simulque barbari

animos tollere et in perculsos Romanos acrius incedere. Iamque paulum a fuga aberant cum Sulla profligatis iis quos aduersum

ierat rediens ab latere Mauris incurrit. Bocchus statim auertitur. At Iugurtha dum sustentare suos et prope iam adeptam

victoriam retinere cupit circumventus ab equitibus dextra sinistraque omnibus occisis solus inter tela hostium vitabundus

erumpit. Atque interim Marius fugatis equitibus accurrit auxilio suis quos pelli iam acceperat. Denique hostes iam undique

fusi. Tum spectaculum horribile in campis patentibus: sequi fugere occidi capi; equi atque viri afflicti ac multi uulneribus

acceptis neque fugere posse neque quietem pati niti modo ac statim concidere; postremo omnia qua visus erat constrata telis

armis cadaueribus et inter ea humus infecta sanguine.

Versione tradotta

Il quarto giorno, infine, non lontano dalla città di Cirta,

da tutte
le parti contemporaneamente arrivano in fretta gli esploratori: segno
manifesto che il nemico è

vicino. Ma poiché, pur tornando da direzioni
diverse, chi da una parte, chi dall'altra, riportavano tutti le stesse

notizie, il console, non sapendo quale formazione adottare, senza mutare
l'assetto, rimane in attesa in

quel punto, pronto a ogni evenienza. In
questo modo andò delusa la speranza di Giugurta, che aveva diviso le sue

truppe in quattro parti, ritenendo che fra tutti qualcuno almeno avrebbe
potuto prendere il nemico alle

spalle. Nel frattempo Silla, entrato in
contatto per primo con i nemici, incoraggia i suoi e si getta egli stesso

con gli altri sui Mauri a squadroni molto serrati; tutti gli altri
mantengono le loro posizioni e, badando

a proteggersi dalle frecce
scagliate da lontano, uccidono i nemici che si fanno sotto. Mentre la

cavalleria combatte in questo modo, Bocco, con la fanteria, che gli era
stata condotta dal figlio Voluce e che non

aveva partecipato alla prima
battaglia per un ritardo verificatosi durante la marcia, assale la

retroguardia romana. In quel momento Mario si trovava all'avanguardia,
dato che Giugurta con il grosso

dell'esercito si trovava proprio in quel
punto. Allora il Numida, saputo dell'arrivo di Bocco, con pochi dei suoi

si porta nascostamente verso la fanteria. Qui grida in latino - l'aveva
infatti imparato a Numanzia - che

era vana ogni nostra resistenza, poiché
poco prima aveva ucciso Mario di sua mano. Contemporaneamente mostrava la

sua spada macchiata del sangue dei nostri fanti, che egli aveva trucidato
con grande accanimento in

battaglia. All'udire tale notizia, i nostri
soldati rimangono sbigottiti più per l'atrocità del fatto che per

l'attendibilità di chi l'annunzia, mentre i barbari riprendono coraggio e
attaccano ancor più furiosamente i

Romani atterriti. E già i nostri
stavano per fuggire, quando Silla, battuti gli avversari contro i quali si

era scagliato, torna e investe i Mauri di fianco. Sùbito Bocco si
ritira. Giugurta, invece, intende incoraggiare i

suoi e non farsi sfuggire
la vittoria già quasi conquistata. Ma, vistosi circondato dalla nostra
cavalleria

ed essendo tutti i suoi caduti uccisi a destra e a sinistra,
s'apre un varco da solo tra le frecce dei nemici.

Mario, intanto, dopo
aver messo in fuga i cavalieri nemici, accorre in aiuto dei suoi che, come
gli avevano

già riferito, stavano ritirandosi. Alla fine i nemici sono
ormai in rotta da ogni parte. Allora in quella vasta

pianura si presentò
uno spettacolo atroce: chi inseguiva, chi fuggiva, chi era ucciso, chi era
preso.

Cavalli e uomini giacevano a terra e molti feriti, che non potevano
né fuggire né star fermi, tentavano di alzarsi e

sùbito ricadevano.
Insomma, fin dove lo sguardo poteva spingersi, c'erano cumuli di lance, di
scudi e di

cadaveri e in mezzo la terra intrisa di sangue.

  • Letteratura Latina
  • Par. 90-114
  • Sallustio

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