Bellum Iugurthinum, Paragrafo 102 - Studentville

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 102

Post ea loci consul haud dubie iam victor pervenit in oppidum Cirtam quo initio profectus intenderat. Eo post diem quintum

quam iterum barbari male pugnauerant legati a Boccho veniunt qui regis verbis ab Mario petiuere duos quam fidissimos ad eum

mitteret velle de suo et de populi Romani commodo cum iis disserere. Ille statim L. Sullam et A. Manlium ire iubet. Qui

quamquam acciti ibant tamen placuit verba apud regem facere ut ingenium aut auersum flecterent aut cupidum pacis vehementius

accenderent. Itaque Sulla cuius facundiae non aetati a Manlio concessum pauca verba huiusce modi locutus: “Rex Bocche magna

laetitia nobis est cum te talem virum di monuere uti aliquando pacem quam bellum malles neu te optimum cum pessimo omnium

Iugurtha miscendo commaculares simul nobis demeres acerbam necessitudinem pariter te errantem atque illum sceleratissimum

persequi. Ad hoc populo Romano iam a principio imperi melius visum amicos quam seruos quaerere tutiusque rati volentibus quam

coactis imperitare. Tibi vero nulla opportunior nostra amicitia primum quia procul absumus in quo offensae minimum gratia par

ac si prope adessemus; dein quia parentis abunde habemus amicorum neque nobis neque cuiquam omnium satis fuit. Atque hoc utinam

a principio tibi placuisset: profecto ex populo Romano ad hoc tempus multo plura bona accepisses quam mala perpessus es[ses].

Sed quoniam humanarum rerum fortuna atque uti coepisti perge. licet placuit et vim et gratiam nostram te experiri nunc quando

per illam licet festina atque uti coepisti perge. multa atque opportuna habes quo facilius errata officiis superes. Postremo

hoc in pectus tuum demitte numquam populum Romanum beneficiis victum esse. Nam bello quid valeat tute scis.” Ad ea Bocchus

placide et benigne simul pauca pro delicto suo verba facit: se non hostili animo sed ob regnum tutandum arma cepisse. Nam

Numidiae partem unde vi Iugurtham expulerit iure belli suam factam; eam vastari a Mario pati nequiuisse. Praeterea missis antea

Romam legatis repulsum ab amicitia. Ceterum uetera omittere ac tum si per Marium liceret legatos ad senatum missurum. Dein

copia facta animus barbari ab amicis flexus quos Iugurtha cognita legatione Sullae et Manli metuens id quod parabatur donis

corruperat.

Versione tradotta

Dopo di ciò il console, ormai senza alcun dubbio vincitore, arrivò
alla città di Cirta, che era la meta

iniziale del suo cammino. Qui,
cinque giorni dopo la seconda sconfitta dei barbari, giunsero alcuni messi

da parte di Bocco, che, in nome del re, chiesero a Mario di inviargli due
dei suoi uomini più fidati, perché egli

voleva discutere con loro dei suoi
interessi e di quelli del popolo romano. Mario dà subito ordine di partire

a Lucio Silla e ad Aulo Manlio. Questi, sebbene fossero andati su invito
del re, vollero tuttavia parlargli per

primi per inclinare il suo animo
alla pace, se ancora fosse ostile, o per confermarlo ancor più nei suoi

propositi, nel caso già la desiderasse. Silla, a cui Manlio, benché più
anziano, aveva lasciato la parola in

considerazione della sua eloquenza,
pronunciò un breve discorso di questo tenore:
«Re Bocco, è per noi una

grande gioia constatare che gli dèi hanno
persuaso un uomo del tuo valore a preferire finalmente la pace alla guerra

impedendo che l'eccelsa persona che tu sei fosse infangata dal contatto
con Giugurta, il peggiore degli

individui. Ciò ci esime dalla triste
necessità di punire allo stesso modo te che hai commesso un errore e lui

che si è coperto di delitti. Aggiungi che il popolo romano, fin dalle
sue modeste origini, ha sempre preferito

procurarsi amici piuttosto che
schiavi, ritenendo più sicuro governare con il consenso che con la forza.

Per te, del resto, nessuna amicizia è più vantaggiosa della nostra,
prima di tutto perché la lontananza riduce al

minimo le occasioni di
offesa e ti assicura il nostro favore come se fossimo vicini, e poi anche
perché di

sudditi ne abbiamo anche troppi, di amici né noi né alcun altro
ne ha abbastanza. Magari tu avessi pensato così fin

da principio!
Avresti certo avuto dal popolo romano più benefici di quanti danni hai
dovuto subire. La

fortuna, che governa gran parte degli avvenimenti
umani e che ha voluto farti provare sia la nostra forza che il

nostro
favore, ti offre ora un'occasione: non perdere tempo, dunque, e continua
come hai cominciato. Tu

hai molte opportunità che ti rendono agevole
riscattare con i tuoi servigi gli errori commessi. Questa verità deve

mettere radici nel tuo cuore: il popolo romano non è mai stato vinto in
generosità. Sai bene, poi, quanto

valga in guerra».
A queste parole Bocco risponde in tono pacato e cortese, aggiungendo
poche cose a

giustificazione della sua colpa. Afferma di essere ricorso
alle armi non per un sentimento di ostilità contro i

Romani, ma per
difendere il regno. Infatti la parte della Numidia, da cui aveva con la
forza cacciato

Giugurta, gli apparteneva per diritto di guerra e non aveva
potuto tollerare che Mario la devastasse. Ricorda che

quando aveva mandato
ambasciatori a Roma, la sua offerta di amicizia non era stata accolta.
Si dichiara,

peraltro, disposto a dimenticare il passato e a mandare, con
l'autorizzazione di Mario, ambasciatori al senato. Più

tardi, tuttavia,
ottenuta l'autorizzazione, il barbaro fu indotto a cambiare parere da
alcuni amici, che

Giugurta, avvertito dell'ambasceria di Silla e Mario, e
temendone le conseguenze, aveva corrotto con doni.

  • Bellum Iugurthinum
  • Par. 90-114
  • Sallustio

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