Post ea loci consul haud dubie iam victor pervenit in oppidum Cirtam quo initio profectus intenderat. Eo post diem quintum
quam iterum barbari male pugnauerant legati a Boccho veniunt qui regis verbis ab Mario petiuere duos quam fidissimos ad eum
mitteret velle de suo et de populi Romani commodo cum iis disserere. Ille statim L. Sullam et A. Manlium ire iubet. Qui
quamquam acciti ibant tamen placuit verba apud regem facere ut ingenium aut auersum flecterent aut cupidum pacis vehementius
accenderent. Itaque Sulla cuius facundiae non aetati a Manlio concessum pauca verba huiusce modi locutus: “Rex Bocche magna
laetitia nobis est cum te talem virum di monuere uti aliquando pacem quam bellum malles neu te optimum cum pessimo omnium
Iugurtha miscendo commaculares simul nobis demeres acerbam necessitudinem pariter te errantem atque illum sceleratissimum
persequi. Ad hoc populo Romano iam a principio imperi melius visum amicos quam seruos quaerere tutiusque rati volentibus quam
coactis imperitare. Tibi vero nulla opportunior nostra amicitia primum quia procul absumus in quo offensae minimum gratia par
ac si prope adessemus; dein quia parentis abunde habemus amicorum neque nobis neque cuiquam omnium satis fuit. Atque hoc utinam
a principio tibi placuisset: profecto ex populo Romano ad hoc tempus multo plura bona accepisses quam mala perpessus es[ses].
Sed quoniam humanarum rerum fortuna atque uti coepisti perge. licet placuit et vim et gratiam nostram te experiri nunc quando
per illam licet festina atque uti coepisti perge. multa atque opportuna habes quo facilius errata officiis superes. Postremo
hoc in pectus tuum demitte numquam populum Romanum beneficiis victum esse. Nam bello quid valeat tute scis.” Ad ea Bocchus
placide et benigne simul pauca pro delicto suo verba facit: se non hostili animo sed ob regnum tutandum arma cepisse. Nam
Numidiae partem unde vi Iugurtham expulerit iure belli suam factam; eam vastari a Mario pati nequiuisse. Praeterea missis antea
Romam legatis repulsum ab amicitia. Ceterum uetera omittere ac tum si per Marium liceret legatos ad senatum missurum. Dein
copia facta animus barbari ab amicis flexus quos Iugurtha cognita legatione Sullae et Manli metuens id quod parabatur donis
corruperat.
Versione tradotta
Dopo di ciò il console, ormai senza alcun dubbio vincitore, arrivò
alla città di Cirta, che era la meta
iniziale del suo cammino. Qui,
cinque giorni dopo la seconda sconfitta dei barbari, giunsero alcuni messi
da parte di Bocco, che, in nome del re, chiesero a Mario di inviargli due
dei suoi uomini più fidati, perché egli
voleva discutere con loro dei suoi
interessi e di quelli del popolo romano. Mario dà subito ordine di partire
a Lucio Silla e ad Aulo Manlio. Questi, sebbene fossero andati su invito
del re, vollero tuttavia parlargli per
primi per inclinare il suo animo
alla pace, se ancora fosse ostile, o per confermarlo ancor più nei suoi
propositi, nel caso già la desiderasse. Silla, a cui Manlio, benché più
anziano, aveva lasciato la parola in
considerazione della sua eloquenza,
pronunciò un breve discorso di questo tenore:
«Re Bocco, è per noi una
grande gioia constatare che gli dèi hanno
persuaso un uomo del tuo valore a preferire finalmente la pace alla guerra
impedendo che l'eccelsa persona che tu sei fosse infangata dal contatto
con Giugurta, il peggiore degli
individui. Ciò ci esime dalla triste
necessità di punire allo stesso modo te che hai commesso un errore e lui
che si è coperto di delitti. Aggiungi che il popolo romano, fin dalle
sue modeste origini, ha sempre preferito
procurarsi amici piuttosto che
schiavi, ritenendo più sicuro governare con il consenso che con la forza.
Per te, del resto, nessuna amicizia è più vantaggiosa della nostra,
prima di tutto perché la lontananza riduce al
minimo le occasioni di
offesa e ti assicura il nostro favore come se fossimo vicini, e poi anche
perché di
sudditi ne abbiamo anche troppi, di amici né noi né alcun altro
ne ha abbastanza. Magari tu avessi pensato così fin
da principio!
Avresti certo avuto dal popolo romano più benefici di quanti danni hai
dovuto subire. La
fortuna, che governa gran parte degli avvenimenti
umani e che ha voluto farti provare sia la nostra forza che il
nostro
favore, ti offre ora un'occasione: non perdere tempo, dunque, e continua
come hai cominciato. Tu
hai molte opportunità che ti rendono agevole
riscattare con i tuoi servigi gli errori commessi. Questa verità deve
mettere radici nel tuo cuore: il popolo romano non è mai stato vinto in
generosità. Sai bene, poi, quanto
valga in guerra».
A queste parole Bocco risponde in tono pacato e cortese, aggiungendo
poche cose a
giustificazione della sua colpa. Afferma di essere ricorso
alle armi non per un sentimento di ostilità contro i
Romani, ma per
difendere il regno. Infatti la parte della Numidia, da cui aveva con la
forza cacciato
Giugurta, gli apparteneva per diritto di guerra e non aveva
potuto tollerare che Mario la devastasse. Ricorda che
quando aveva mandato
ambasciatori a Roma, la sua offerta di amicizia non era stata accolta.
Si dichiara,
peraltro, disposto a dimenticare il passato e a mandare, con
l'autorizzazione di Mario, ambasciatori al senato. Più
tardi, tuttavia,
ottenuta l'autorizzazione, il barbaro fu indotto a cambiare parere da
alcuni amici, che
Giugurta, avvertito dell'ambasceria di Silla e Mario, e
temendone le conseguenze, aveva corrotto con doni.
- Bellum Iugurthinum
- Par. 90-114
- Sallustio