Silent enim leges inter arma; nec se exspectari iubent cum ei qui exspectare velit ante iniusta poena luenda sit quam iusta repetenda. Etsi persapienter et quodam modo tacite dat ipsa lex potestatem defendendi quae non hominem occidi sed esse cum telo hominis occidendi causa vetat; ut cum causa non telum quaereretur qui sui defendendi causa telo esset usus non minis occidendi causa habuisse telum iudicaretur. Quapropter hoc maneat in causa iudices non enim dubito quin probaturus sim vobis defensionem meam si id memineritis quod oblivisci non potestis insidiatorem iure interfici posse.
Versione tradotta
“Tacciono, infatti, le leggi in mezzo alle armi” e non pretendono che si aspetti il loro intervento, perché chi volesse ottenerlo dovrebbe scontare una pena ingiusta prima di poter esigere giustizia: anche se con grande saggezza, e per così dire in maniera implicita, ad accordarci il diritto di autodifesa è la legge stessa, che non vieta di uccidere un uomo, ma di circolare armati con l’intento di ucciderlo. Così, se s’indaga sulla causa, non sull’arma del delitto, chi se n’è servito per difendersi non è giudicato colpevole di omicidio premeditato. Di conseguenza questo punto, giudici, rimanga ben saldo durante il dibattito, perché non ho dubbi sull’approvazione da parte vostra della mia linea di difesa se terrete a mente un principio che non potete dimenticare: la legge ammette che chi tende insidie possa essere ucciso.
- Letteratura Latina
- Pro Milone di Cicerone
- Cicerone