Quod idem Scipioni videbatur, qui quidem, quasi
praesagiret, perpaucis ante mortem diebus, cum et Philus et Manilius adesset et alii plures, tuque etiam, Scaevola, mecum
venisses, triduum disseruit de re publica; cuius disputationis fuit extremum fere de immortalitate animorum, quae se in quiete
per visum ex Africano audisse dicebat. Id si ita est, ut optimi cuiusque animus in morte facillime evolet tamquam e custodia
vinclisque corporis, cui censemus cursum ad deos faciliorem fuisse quam Scipioni? Quocirca maerere hoc eius eventu vereor ne
invidi magis quam amici sit. Sin autem illa veriora, ut idem interitus sit animorum et corporum nec ullus sensus maneat, ut
nihil boni est in morte, sic certe nihil mali; sensu enim amisso fit idem, quasi natus non esset omnino, quem tamen esse natum
et nos gaudemus et haec civitas dum erit laetabitur.
Versione tradotta
E la medesima cosa sembrava a Scipione,
il quale, quasi ne avesse il presentimento, pochissimi giorni prima di morire, essendo presenti Filo e Manio Manilio e parecchi
altri, ed anche tu Scevola essendo venuto con me, discusse per tre giorni intorno allo stato, e di questa discussione la parte
finale fu essenzialmente intorno alla immortalità dell'anima, cose che egli diceva di aver udito dall'Africano nella
quiete del sonno, in una visione. E se è così, che l'anima d'uno quanto più è buono tanto più facilmente vola via come
dalla prigione e dalle catene del corpo, a chi pensiamo sia stato più facile salire agli dei che a Scipione? Perciò soffrire
per la sua sorte io temo che sia più di un invidioso che di un amico. Se invece questo è più vero, che l'anima finisce
insieme col corpo e nessuna sensibilità più rimane, come nulla di bene v'è nella morte, così nulla di male: perduta,
infatti, la capacità di sentire, è lo stesso che se non fosse affatto nato quello Scipione che noi siamo ben lieti che sia
nato; e questa città, finché esisterà, se ne rallegrerà sempre.
- Letteratura Latina
- De Amicitia di Cicerone
- Cicerone