Sed hoc primum sentio, nisi in bonis amicitiam
esse non posse; neque id ad vivum reseco, ut illi qui haec subtilius disserunt, fortasse vere, sed ad communem utilitatem
parum; negant enim quemquam esse virum bonum nisi sapientem. Sit ita sane; sed eam sapientiam interpretantur quam adhuc
mortalis nemo est consecutus, nos autem ea quae sunt in usu vitaque communi, non ea quae finguntur aut optantur, spectare
debemus. Numquam ego dicam C. Fabricium, M’. Curium, Ti. Coruncanium, quos sapientes nostri maiores iudicabant, ad istorum
normam fuisse sapientes. Quare sibi habeant sapientiae nomen et invidiosum et obscurum; concedant ut viri boni fuerint. Ne id
quidem facient, negabunt id nisi sapienti posse concedi.
Versione tradotta
Sono però d'avviso anzitutto che non vi può essere amicizia
se non tra i buoni; e non voglio con questo penetrare fino al vivo della questione, come quelli che discutono su ciò con grande
sottigliezza, e forse con verità, ma con poca utilità pratica: dicono essi, difatti, che nessuno è buono se non il sapiente. E
sia pure; ma per sapienza intendono quella che fino ad ora nessun mortale ha raggiunto; noi invece dobbiamo guardare a ciò che
è nella realtà della vita comune, e non a ciò che è nella immaginazione e nel desiderio. Mai io direi che Gaio Fabrizio, Manio
Curio, Tiberio Coruncanio, dai nostri vecchi giudicati sapienti, furono sapienti secondo il criterio di costoro. Perciò si
tengano pure quel concetto ch'essi hanno della sapienza, odioso e oscuro, ma ammettano che quelli furono buoni. Neppur
questo faranno: sosterranno che ciò non può ammettersi che del sapiente.
- Letteratura Latina
- De Amicitia di Cicerone
- Cicerone