Sic si diceretur, ‘Morietur noctu in cubiculo suo vi oppressus
Scipio’, vere diceretur; id enim fore diceretur, quod esset futurum; futurum autem fuisse ex eo, quia factum est, intellegi
debet. Nec magis erat verum ‘Morietur Scipio’ quam ‘Morietur illo modo’, nec magis necesse mori Scipioni quam illo
modo mori, nec magis inmutabile ex vero in falsum ‘Necatus est Scipio’ quam ‘Necabitur Scipio’; nec, cum haec ita
sint, est causa, cur Epicurus fatum extimescat et ab atomis petat praesidium easque de via deducat et uno tempore suscipiat res
duas inenodabiles, unam, ut sine causa fiat aliquid–, ex quo existet, ut de nihilo quippiam fiat, quod nec ipsi nec cuiquam
physico placet–alteram, ut, cum duo individua per inanitatem ferantur, alterum e regione moveatur, alterum declinet.
Versione tradotta
Così se si
dicesse «Scipione morirà di morte violenta, di notte, nella sua camera da letto» sarebbe vero; infatti si direbbe che sarà quel
che sarebbe stato; che sarebbe stato, lo si evince dal fatto che è stato. E non era più vero «Scipione morirà» di quanto non
lo fosse «morirà in quel determinato modo», né era più necessario che Scipione morisse di quanto non lo fosse che morisse in
quel modo, né più immutabile dal vero in falso «Scipione è stato ucciso» di «Scipione sarà ucciso». E tuttavia, pur stando così
le cose, non c'è motivo che Epicuro tema il fato e cerchi aiuto negli atomi, facendoli deviare dalla loro traiettoria, e
sostenga contemporaneamente due cose inammissibili: la prima, che qualcosa avvenga senza causa, perciò accadrebbe che qualcosa
nasca dal nulla, il che né lui stesso né alcun fisico ammette; la seconda, che mentre due atomi si muovono nel vuoto, uno cada
in linea retta, l'altro invece cambi direzione.
- Letteratura Latina
- De Fato di Cicerone
- Cicerone