Neque vero haec Dionysium fugiebant; nam quanto esset sibi
ornamento sentiebat. Quo fiebat ut uni huic maxime indulgeret neque eum secus diligeret ac filium; qui quidem cum Platonem
Tarentum venisse fama in Siciliam esset perlata adulescenti negare non potuerit quin eum accerseret cum Dion eius audiendi
cupiditate flagraret. Dedit ergo huic veniam magnaque eum ambitione Syracusas perduxit. Quem Dion adeo admiratus est atque
adamavit ut se ei totum traderet. Neque vero minus ipse Plato delectatus est Dione. Itaque cum a tyranno crudeliter violatus
esset quippe quem venum dari iussisset tamen eodem rediit eiusdem Dionis precibus adductus. Interim in morbum incidit
Dionysius. Quo cum gravi conflictaretur quaesivit a medicis Dion quemadmodum se haberet simulque ab his petiit si forte maiori
inesset periculo ut sibi faterentur: nam velle se cum eo colloqui de partiendo regno quod sororis suae filios ex illo natos
partem regni putabat debere habere. Id medici non tacuerunt at ad Dionysium filium sermonem rettulerunt. Quo ille commotus ne
agendi esset Dioni potestas patri soporem medicos dare coegit. Hoc aeger sumpto ut somno sopitus diem obiit supremum.
Versione tradotta
E queste cose invero non
sfuggivano a Dionigi: infatti si rendeva conto di quanto quello contribuisse al suo prestigio. Ne conseguiva che con lui solo
usasse la massima condiscendenza e che lo amasse non diversamente da un figlio. Quando si sparse la voce in Sicilia che
Platone era venuto a Taranto, egli non poté negare al giovane che lo facesse venire, dal momento che Dione ardeva dal desiderio
di ascoltarlo. Gli dette dunque il permesso e lo fece venire a Siracusa con grande pompa. E Dione ne rimase così affascinato e
prese ad amarlo tanto che gli si affidò completamente. E non meno Platone si compiacque di Dione, tanto che pur essendo stato
crudelmente oltraggiato dal tiranno (questi aveva ordinato che venisse venduto), tuttavia ritornò coIà vinto dalle preghiere
dello stesso Dione. Nel frattempo Dionigi cadde ammalato e mentre era gravemente travagliato dal male, Dione chiese ai medici
come egli stesse e nello stesso tempo li pregò, nel caso si trovasse in più grave pericolo, che glielo dicessero: voleva
infatti parlare con lui sulla ripartizione del regno, perché riteneva che i figliuoli della sua sorella, nati da lui, dovessero
avere una parte del regno. I medici non tacquero su questa faccenda e riferirono il discorso al figlio Dionigi. Quello,
allarmatosi, per togliere a Dione qualsiasi possibilità di agire, costrinse i medici a dare una pozione soporifera al padre.
Dopo averla presa, l’ammalato si assopì e andò all’altro mondo.
- Letteratura Latina
- Liber de excellentibus gentium (Dion) di Cornelio Nepote
- Cornelio Nepote