Servos agrestis et barbaros quibus silvas publicas depopulatus erat Etruriamque vexarat ex Apennino deduxerat quos videbatis. Res erat minime obscura. Etenim palam dictitabat consulatum Miloni eripi non posse vitam posse. Significavit hoc saepe in senatu dixit in contione. Quin etiam M. Favonio fortissimo viro quaerenti ex eo qua spe fureret Milone vivo respondit triduo illum aut summum quadriduo esse periturum: quam vocem eius ad hunc M. Catonem statim Favonius detulit.
Versione tradotta
Aveva fatto scendere dall'Appennino gli schiavi rozzi e barbari, grazie ai quali aveva disboscato le foreste demaniali e devastato l'Etruria: e voi li avete visti. Le sue intenzioni non erano affatto segrete: andava dicendo apertamente che non era possibile strappare a Milone il consolato, ma la vita sì. Lo lasciò intendere più d'una volta in senato e lo disse nell'assemblea popolare: anzi, allorché Marco Favonio, uomo di grandissimo coraggio, gli chiese con quale ardire potesse mettere in atto i suoi furori finché era in vita Milone, egli rispose che nello spazio di tre o quattro giorni al massimo Mílone sarebbe morto. Marco Favonio si affrettò a riferire le sue parole al qui presente Marco Catone.
- Letteratura Latina
- Pro Milone di Cicerone
- Cicerone