Defecerat a rege
Tissaphernes neque id tam Artaxerxi quam ceteris erat apertum. Multis enim magnisque meritis apud regem etiam cum in officio
non maneret valebat. Neque id erat mirandum si non facile ad credendum adducebatur reminiscens eius se opera Cyrum fratrem
superasse. Huius accusandi gratia Conon a Pharnabazo ad regem missus posteaquam venit primum ex more Persarum ad chiliarchum
qui secundum gradum imperii tenebat Tithrausten accessit seque ostendit cum rege colloqui velle. Nemo enim sine hoc admittitur.
Huic ille `Nulla’ inquit `mora est; sed tu delibera utrum colloqui malis an per litteras agere quae cogitas. Necesse est enim
si in conspectum veneris venerari te regem – quod `proskynesin’ illi vocant -. Hoc si tibi grave est per me nihilo setius
editis mandatis conficies quod studes’. Tum Conon `Mihi vero’ inquit `non est grave quemvis honorem habere regi; sed vereor
ne civitati meae sit opprobrio si cum ex ea sim profectus quae ceteris gentibus imperare consuerit potius barbarorum quam
illius more fungar.’ Itaque quae huic volebat scripta tradidit.
Versione tradotta
Tissaferne si era staccato dal re e
questo era chiaro non tanto ad Artaserse quanto agli altri. Infatti aveva grande valore presso il re per i suoi numerosi
notevoli servigi, pur non adempiendo piu’ i suoi doveri. E non c’era da stupirsi se difficilmente era indotto a crederci,
ricordando che grazie a lui aveva avuto la meglio sul fratello Ciro. .Conone, mandato presso il re da Farnabazo per accusarlo,
appena fu giunto per prima cosa si recò dal chiliarca Titrauste, che reggeva il secondo grado del potere, e dichiarò di voler
parlare con il re. Infatti nessuno è ammesso senza di lui. .Questi gli disse: “Non c’è nessun impedimento; ma scegli tu se
preferisci avere un colloquio con lui o dire tramite lettera quello che pensi. Infatti è necessario, se ti presenterai al suo
cospetto, che tu adori il re (essi chiamano questo “proschinesi”). Se ti è penoso, nondimeno comunicata attraverso me la tua
ambasciata otterrai quello che desideri”. .Allora Conone rispose: “In verità non mi è penoso onorare il re in qualunque modo;
ma temo che sia disonorevole per la mia patria se partendo da essa, che è solita comandare sugli altri popoli, seguissi il
costume dei barbari e non piuttosto il suo”. Così consegnò scritte le richieste che aveva per il re.
- Letteratura Latina
- Conon di Cornelio Nepote
- Cornelio Nepote