«Deos hominesque testamur, imperator,
nos arma neque contra patriam cepisse neque quo periculum aliis faceremus, sed uti corpora nostra ab iniuria tuta forent, qui
miseri, egentes violentia atque crudelitate faeneratorum plerique patriae, sed omnes fama atque fortunis expertes sumus. Neque
cuiquam nostrum licuit more maiorum lege uti neque amisso patrimonio liberum corpus habere: tanta saevitia faeneratorum atque
praetoris fuit. Saepe maiores vestrum, miserti plebis Romanae, decretis suis inopiae eius opitulati sunt, ac novissime memoria
nostra propter magnitudinem aeris alieni volentibus omnibus bonis argentum aere solutum est. Saepe ipsa plebs, aut dominandi
studio permota aut superbia magistratuum, armata a patribus secessit. At nos non imperium neque divitias petimus, quarum rerum
causa bella atque certamina omnia inter mortalis sunt, sed libertatem, quam nemo bonus nisi cum anima simul amittit. Te atque
senatum obtestamur, consulatis miseris civibus, legis praesidium quod iniquitas praetoris eripuit restituatis, neve nobis eam
neccessitudinem imponatis, ut quaeramus, quonam modo maxime ulti sanguinem nostrum pereamus».
Versione tradotta
«Chiamiamo a testimoni
gli Dèi e gli uomini, o imperatore, che se abbiamo preso le armi, non è né contro la pace né per nuocere ad altri, ma affinché
le nostre persone fossero sicure dall’ingiustizia. Sventurati, indigenti per la violenza e la crudeltà degli usurai, siamo
stati quasi tutti privati del focolare e tutti della reputazione e degli averi; a nessuno di noi secondo la pratica della legge
degli avi fu concesso che, perduto il patrimonio, conservassimo libera la persona: tanta è stata la crudeltà degli usurai e del
pretore. Spesso i vostri antenati, commossi dalla plebe romana, con propri decreti sovvennero alla sua miseria; e ultimamente,
nei nostri tempi, in ragione della grandezza dei debiti, con il consenso dei buoni cittadini, i debiti in argento vennero
pagati in rame. Spesso la stessa plebe,o agitata dal desiderio di dominare e per la superbia dei magistrati, si separò con le
armi dai patrizi. Ma noi non chiediamo potere né ricchezze, che producono guerre e ogni sorta di lotta fra i mortali, ma la
libertà, che nessun vero uomo perde se non insieme con la vita. Preghiamo te e il Senato di provvedere a noi sventurati
cittadini, di restituirci il presidio della legge, che l’ingiustizia del pretore ci ha tolto e di non imporci la necessità
di cercare il modo di vendere a più caro prezzo il nostro sangue e la nostra vita».
- Bellum Catilinarium
- Bellum Catilinarium di Sallustio
- Sallustio