De Amicitia, Paragrafo 37 - Studentville

De Amicitia, Paragrafo 37

Ti. quidem Gracchum rem publicam vexantem a Q. Tuberone aequalibusque amicis derelictum

videbamus. At C. Blossius Cumanus, hospes familiae vestrae, Scaevola, cum ad me, quod aderam Laenati et Rupilio consulibus in

consilio, deprecatum venisset, hanc ut sibi ignoscerem, causam adferebat, quod tanti Ti. Gracchum fecisset ut, quidquid ille

vellet, sibi faciendum putaret. Tum ego: ‘Etiamne, si te in Capitolium faces ferre vellet?’ ‘Numquam’ inquit

‘voluisset id quidem; sed si voluisset, paruissem.’ Videtis, quam nefaria vox! Et hercule ita fecit vel plus etiam quam

dixit; non enim paruit ille Ti. Gracchi temeritati sed praefuit, nec se comitem illius furoris, sed ducem praebuit. Itaque hac

amentia quaestione nova perterritus in Asiam profugit, ad hostes se contulit, poenas rei publicae graves iustasque persolvit.

Nulla est igitur excusatio peccati, si amici causa peccaveris; nam cum conciliatrix amicitiae virtutis opinio fuerit, difficile

est amicitiam manere, si a virtute defeceris.

Versione tradotta

. Ho visto con questi occhi Q.

Tuberone e gli amici della sua generazione abbandonare Tiberio Gracco quando cominciò a gettare scompiglio nello stato. Invece

Gaio Blossio Cumano ospite della vostra famiglia, o Scevola, quando venne da me a pregarmi di perdonargli, poiché assistevo nel

consiglio i consoli Rupilio e Lenate recava come sua giustificazione di avere avuto in così grande stima Tiberio Gracco, da

credere di dover fare qualunque cosa egli volesse.
Allora io: «Anche se voleva che tu portassi le fiaccole accese contro

il Campidoglio?». «Mai» rispose «avrebbe voluto questo; ma se l'avesse voluto, av ubbidito.» Che nefande parole! vedete. E

fece così, per Ercole; o anche più di quel che aveva detto: non, difatti, obbedì lui alla temerità di Tiberio Gracco, ma fu lui

capo; e non si offerse compagno alla follia di quello, ma se ne fece condottiero. E così per questa sua pazzia, impaurito

dall'istituzione di una nuova commissione d'inchiesta, si rifugiò in Asia, si recò da nemici, pagò alla repubblica pene

gravi e giuste. Non è dunque per nulla giustificazione della colpa, l'aver tu sbagliato a cagion d'un amico. Poiché se

l'esser tu ritenuto virtuoso ha fatto nascere con te l'amicizia, è difficile che l'amicizia rimanga, quando tu abbia

disertato dalla virtù.

  • Letteratura Latina
  • De Amicitia di Cicerone
  • Cicerone

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