Nam quibusdam,
quos audio sapientes habitos in Graecia, placuisse opinor mirabilia quaedam (sed nihil est quod illi non persequantur
argutiis): partim fugiendas esse nimias amicitias, ne necesse sit unum sollicitum esse pro pluribus; satis superque esse sibi
suarum cuique rerum, alienis nimis implicari molestum esse; commodissimum esse quam laxissimas habenas habere amicitiae, quas
vel adducas, cum velis, vel remittas; caput enim esse ad beate vivendum securitatem, qua frui non possit animus, si tamquam
parturiat unus pro pluribus.
Versione tradotta
A certuni, che sento dire essere stati ritenuti in Grecia sapienti, piacquero certe idee, per
mio conto strane (ma non c’è nulla su cui quella gente non cavilli): parte ritengono che sian da fuggire amicizie troppo
intime, affinché non debba uno solo darsi pensiero per parecchi; che ognuno ne ha abbastanza e d’avanzo delle sue proprie
cose, e troppo impicciarsi dei fatti altrui è cosa molesta; la miglior cosa è invece tener le redini dell’amicizia più lente
che si può, e tirarle quando tu voglia, o tirate allentarle; punto capitale, infatti, a viver felici, è la tranquillità, della
quale non può godere l’animo, se uno solo deve in certo modo soffrire i travagli del parto per parecchi.
- Letteratura Latina
- De Amicitia di Cicerone
- Cicerone