Bellum Iugurthinum Paragrafo 46: versione tradotta - StudentVille

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 46

Interea Iugurtha ubi quae Metellus agebat ex nuntiis accepit simul de innocentia eius certior Roma[e]

factus diffidere suis rebus ac tum demum veram deditionem facere conatus est. Igitur legatos ad consulem cum suppliciis mittit

qui tantummodo ipsi liberisque vitam peterent alia omnia dederent populo Romano. Sed Metello iam antea experimentis cognitum

erat genus Numidarum infidum ingenio mobili novarum rerum auidum esse. Itaque legatos alium ab alio diuersos aggreditur ac

paulatim temptando postquam opportunos sibi cognovit multa pollicendo persuadet uti Iugurtham maxime viuum sin id parum

procedat necatum sibi traderent. Ceterum palam quae ex voluntate forent regi nuntiari iubet. Deinde ipse paucis diebus intento

atque infesto exercitu in Numidiam procedit ubi contra belli faciem tuguria plena hominum pecora cultoresque in agris erant. Ex

oppidis et mapalibus praefecti regis obvii procedebant parati frumentum dare commeatum portare postremo omnia quae imperarentur

facere. Neque Metellus idcirco minus sed pariter ac si hostes adessent munito agmine incedere late explorare omnia illa

deditionis signa ostentui credere et insidiis locum temptari. Itaque ipse cum expeditis cohortibus item funditorum et

sagittariorum delecta manu apud primos erat in postremo C. Marius legatus cum equitibus curabat in utrumque latus auxiliarios

equites tribunis legionum et praefectis cohortium dispertiuerat ut cum iis permixti uelites quocumque accederent equitatus

hostium propulsarent. Nam in Iugurtha tantus dolus tantaque peritia locorum et militiae erat ut absens an praesens pacem an

bellum gerens perniciosior esset in incerto haberetur.

Versione tradotta

Giugurta, informato dalle sue spie dei preparativi di Metello, la
cui

integrità, del resto, gli era stata confermata da Roma, cominciò a
dubitare della sua sorte e per la prima volta

tentò davvero di trattare la
resa. Invia, quindi, al console ambasciatori con le insegne di supplici

incaricati di chiedere per lui e per i figli soltanto la vita e di
lasciare tutto il resto alla discrezione del

popolo romano. Ma
l’esperienza aveva già insegnato a Metello che la razza dei Numidi era
infida, di

carattere volubile e avida di novità. Avvicina dunque gli
ambasciatori separatamente l’uno dall’altro, ne saggia a

poco a poco la
disponibilità e, quando li trova condiscendenti, li persuade con molte
promesse a

consegnargli Giugurta preferibilmente vivo, o, se non sia
possibile, morto. In pubblico, poi, li incarica di riferire

al re risposte
conformi ai suoi desideri. Pochi giorni dopo Metello con l’esercito in
pieno assetto e

pronto a combattere invade la Numidia e non vi trova alcun
indizio di guerra: le capanne erano piene di gente e nei

campi c’erano
greggi e contadini. I prefetti del re gli venivano incontro da città e
villaggi, disposti a

consegnare grano, a portare vettovaglie, a fare,
insomma, tutto ciò che venisse loro ordinato. Metello, però,

proprio
come se il nemico si trovasse nelle vicinanze, avanzava in formazione di
combattimento e faceva

esplorare il territorio tutt’intorno per un vasto
tratto, in quanto riteneva che quegli atti di sottomissione

fossero
simulati e che il nemico cercasse l’occasione per un agguato. Egli stava
quindi all’avanguardia

con le coorti armate alla leggera e con un
drappello scelto di frombolieri e di arcieri; il suo luogotenente Gaio

Mario controllava la retroguardia con la cavalleria. Su entrambi i fianchi
aveva ripartito la cavalleria

ausiliaria fra i tribuni delle legioni e i
prefetti delle coorti perché i veliti, frammisti ad essa, potessero

respingere i cavalieri nemici da qualunque parte attaccassero. Giugurta,
infatti, era così astuto e così esperto

dei luoghi e dell’arte della
guerra, che non si sapeva se fosse più pericoloso averlo vicino o lontano,
in

pace o in guerra.

  • Bellum Iugurthinum
  • Par. 30-59
  • Sallustio

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