Bellum Catilinarium Paragrafo 48: versione tradotta - StudentVille

Bellum Catilinarium, Paragrafo 48

Interea plebs coniuratione patefacta quae primo cupida rerum

novarum nimis bello favebat mutata mente Catilinae consilia exsecrari Ciceronem ad caelum tollere veluti ex servitute erepta

gaudium atque laetitiam agitabat. Namque alia belli facinora praeda magis quam detrimento fore incendium vero crudele

inmoderatum ac sibi maxume calamitosum putabat quippe cui omnes copiae in usu cotidiano et cultu corporis erant. Post eum diem

quidam L. Tarquinius ad senatum adductus erat quem ad Catilinam proficiscentem ex itinere retractum aiebant. Is cum se diceret

indicaturum de coniuratione si fides publica data esset iussus a consule quae sciret edicere eadem fere quae Volturcius de

paratis incendiis de caede bonorum de itinere hostium senatum docet; praeterea se missum a M. Crasso qui Catilinae nuntiaret ne

eum Lentulus et Cethegus aliique ex coniuratione deprehensi terrerent eoque magis properaret ad urbem accedere quo et ceterorum

animos reficeret et illi facilius e periculo eriperentur. Sed ubi Tarquinius Crassum nominavit hominem nobilem maxumis divitiis

summa potentia alii rem incredibilem rati pars tametsi verum existumabant tamen quia in tali tempore tanta vis hominis magis

leniunda quam exagitanda videbatur plerique Crasso ex negotiis privatis obnoxii conclamant indicem falsum esse deque ea re

postulant uti referatur. Itaque consulente Cicerone frequens senatus decernit Tarquini indicium falsum videri eumque in

vinculis retinendum neque amplius potestatem faciundam nisi de eo indicaret cuius consilio tantam rem esset mentitus. Erant eo

tempore qui existumarent indicium illud a P. Autronio machinatum quo facilius appellato Crasso per societatem periculi reliquos

illius potentia tegeret. Alii Tarquinium a Cicerone inmissum aiebant ne Crassus more suo suspecto malorum patrocinio rem

publicam conturbaret. Ipsum Crassum ego postea praedicantem audivi tantam illam contumeliam sibi ab Cicerone inpositam.

Versione tradotta

Frattanto, scoperta la congiura, la plebe

che prima, bramosa di mutamenti,
favoriva fin troppo la guerra, cambiata idea, esecrava i piani di

Catilina, portava alle stelle Cicerone, era tutta in gaudio e allegrezza
come l’avessero strappata alla schiavitù.

In realtà gli altri flagelli
della guerra le avrebbero apportato più bottino che danno, ma l’incendio

ritenevano crudele e smodato e a loro massimamente calamitoso, come a chi
tutti i suoi averi ha negli oggetti d’uso

quotidiano e nelle vesti.
Il giorno dopo fu condotto davanti al Senato un certo L. Tarquinio, che
dicevano

catturato in viaggio verso Catilina e ricondotto in città.
Costui, affermando che avrebbe fornito notizie sulla

congiura se gli si
fosse pubblicamente assicurata l’impunità, ordinatogli dai consoli di
rivelare ciò che

sapeva, informa quasi delle stesse cose di Volturcio, dei
preparativi d’incendi, del massacro dei nobili, della

marcia del nemico;
aggiunge di essere stato inviato da M. Crasso perché annunziasse a
Catilina di non

atterrirsi della cattura di Lentulo, di Cetego e degli
altri affiliati alla congiura, ma anzi perciò tanto più si

affrettasse a
marciare sulla città, per rinsaldare l’animo degli altri e perché essi
fossero più

facilmente strappati al pericolo. Ma come Tarquinio fece il
nome di Crasso, di nobile lignaggio, di sterminate

ricchezze, di somma
potenza, alcuni, ritenendo la cosa incredibile, altri, pur giudicandola
vera, tuttavia,

poiché in quella congiuntura un personaggio così potente
sembrava doversi accarezzare anziché provocare, mentre la

maggior parte
gli erano obbligati per affari privati, proclamano a una voce falso il
testimonio, e chiedono

che sia sottoposto al giudizio del Senato. Allora
il Senato, consultato da Cicerone, dichiara a ranghi folti che la

denuncia
sembrava falsa e il suo autore doveva essere incarcerato; né gli fosse
consentito di deporre

oltre. A meno che confessasse per suggerimento di
chi aveva pronunciato una così grave menzogna. V’era in quel tempo

chi
riteneva il fatto una macchinazione di P. Autronio, affinché più
facilmente chiamato in causa Crasso,

per la comunità del pericolo gli
altri fossero protetti dalla potenza di quello. Altri dicevano che

Tarquinio era stato sobillato da Cicerone, affinché Crasso, secondo il suo
costume, assunto il patrocinio dei malvagi

non turbasse lo Stato. In
seguito io stesso ho udito Crasso in persona dichiarare che quella
denuncia

infamante gli era stata inflitta da Cicerone.

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