Dione, Paragrafo 5 - Studentville

Dione, Paragrafo 5

Postquam Corinthum pervenit Dion et

eodem perfugit Heraclides ab eodem expulsus Dionysio qui praefectus fuerat equitum omni ratione bellum comparare coeperunt.

Sed non multum proficiebant quod multorum annorum tyrannis magnarum opum putabatur. Quam ob causam pauci ad societatem periculi

perducebantur. Sed Dion fretus non tam suis copiis quam odio tyranni maximo animo duabus onerariis navibus quinquaginta

annorum imperium munitum quingentis longis navibus decem equitum centumque peditum milibus profectus oppugnatum quod omnibus

gentibus admirabile est visum adeo facile perculit ut post diem tertium quam Siciliam attigerat Syracusas introierit. Ex quo

intellegi potest nullum esse imperium tutum nisi benevolentia munitum. Eo tempore aberat Dionysius et in Italia classem

opperiebatur adversariorum ratus neminem sine magnis copiis ad se venturum. Quae res eum fefellit. Nam Dion iis ipsis qui sub

adversarii fuerant potestate regios spiritus repressit totiusque eius partis Siciliae potitus est quae sub Dionysii fuerat

potestate parique modo urbis Syracusarum praeter arcem et insulam adiunctam oppido eoque rem perduxit ut talibus pactionibus

pacem tyrannus facere vellet: Siciliam Dion obtineret Italiam Dionysius Syracusas Apollocrates cui maximam fidem uni habebat

Dionysius.

Versione tradotta

Dopo che Dione

fu giunto a Corinto e si fu rifugiato colà, parimenti cacciato da Dionigi, anche Eraclide che era stato prefetto della

cavalleria, cominciarono a preparare la guerra con tutti i mezzi. Ma non facevano molti progressi, perché una tirannide di

molti anni veniva ritenuta molto potente; per la qual cosa pochi si lasciavano convincere ad una alleanza pericolosa. Ma

Dione, fidando non tanto nelle sue truppe quanto nell'odio contro il tiranno, con grande ardimento, partì con due navi da

guerra all'attacco di un potere che durava da cinquant'anni, forte di cinquecento navi da guerra, diecimila cavalieri e

centomila fanti e, impresa che a tutti i popoli parve strabiliante, lo abbatté con tanta facilità, che entrò in Siracusa appena

tre giorni dopo che aveva toccato la Sicilia. Dal che si può capire che non vi può essere potere sicuro se non protetto dalla

benevolenza. In quel tempo Dionigi era assente ed attendeva in Italia la flotta degli avversari, ritenendo che nessuno sarebbe

andato contro di lui senza un grande esercito: nel che si sbagliò. Dione infatti, per mezzo di quegli stessi che erano stati

sotto il potere dell'avversario, represse la baldanza del re e sì impadronì di tutta quella parte della Sicilia, che era stata

sotto il potere di Dionigi e allo stesso modo della città di Siracusa, eccetto la rocca e l'isola congiunta alla città e

condusse tanto avanti l'impresa che il tiranno accettò la pace a queste condizioni: che Dione si tenesse la Sicilia, Dionigi

FItafia, Apollòcrate, il solo in cui Dionigi riponeva la massima fiducia, Siracusa.

  • Letteratura Latina
  • Liber de excellentibus gentium (Dion) di Cornelio Nepote
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