Quid
enim nobis duobus, iudices, laboriosius, quid magis sollicitum, magis exercitum dici aut fingi potest, qui, spe amplissimorum
praemiorum ad rein publicam adducti, metu crudelissimorum suppliciorum carere non possumus? Equidem ceteras tempestates et
procellas in illis dum taxat fluctibus contionum semper putavi Miloni esse subeundas, quia semper pro bonis contra improbos
senserat; in iudicio vero, et in eo consilio in quo ex cunctis ordinibus amplissimi viri iudicarent, numquam existimavi spem
ullam esse habituros Milonis inimicos, ad eius non modo salutem exstinguendam, sed etiam gloriam per talis viros
infringendam.
Versione tradotta
Che si potrebbe dire o inventare, giudici, di più molesto,
infelice o doloroso per noi due che, attratti alla vita politica dalla speranza dei più alti riconoscimenti, non possiamo
liberarci dal terrore delle più crudeli vendette? Certo, io ho sempre pensato che destino di Milone fosse di affrontare
tempeste e uragani, almeno quelli che si scatenano in mezzo ai flutti delle assemblee popolari, perché si era sempre schierato
dalla parte dei cittadini onesti contro i soprusi dei prepotenti. Ma non ho mai pensato che all’interno del tribunale,
nell’ambito di un processo dove a giudicare sono gli esponenti più autorevoli dei vari ordini romani, i nemici di Milone
avessero qualche speranza, attraverso uomini come voi, di mettere in pericolo la sua vita o di sminuire la sua fama.
- Letteratura Latina
- Pro Milone di Cicerone
- Cicerone