De Senectute Paragrafo 52: versione svolta - StudentVille

De Senectute, Paragrafo 52

Quid ego vitium ortus, satus, incrementa commemorem? Satiari delectatione non possum,

ut meae senectutis requiem oblectamentumque noscatis. Omitto enim vim ipsam omnium, quae generantur e terra; quae ex fici

tantulo grano aut ex acini vinaceo aut ex ceterarum frugum aut stirpium minutissimis seminibus tantos truncos ramosque

procreet. Malleoli, plantae, sarmenta, viviradices, propagines, nonne efficiunt, ut quemvis cum admiratione delectent? Vitis

quidem, quae natura caduca est et, nisi fulta est, fertur ad terram, eadem, ut se erigat claviculis suis quasi manibus quicquid

est nacta, complectitur; quam serpentem multiplici lapsu et erratico ferro amputans coercet ars agricolarum, ne silvescat

sarmentis et in omnis partis nimia fundatur.

Versione tradotta

Perché dovrei ricordarvi la semina, la nascita e la crescita delle viti? Non mi posso saziare di

questo piacere – perché conosciate la serenità e la gioia della mia vecchiaia – :tralascio infatti la forza propria di tutto

quel che è generato dalla terra, la quale procrea, dal minuscolo grano di fico o dal vinacciolo di un chicco o dai piccolissimi

semi degli altri frutti e piante, tronchi e rami così grossi; magliuoli, germogli, tralci, talee, propaggini, non fanno forse

in modo da dilettare ciascuno con ammirazione? Quanto alla vite, che per natura tende a cadere e, se non viene sorretta, si

abbatte a terra, essa stessa, per reggersi, si abbarbica coi suoi viticci a qualsiasi cosa trovi; e l’agricoltore la frena

amputandola con la falce mentre serpeggia in un tortuoso ed errabondo cammino, affinché non inselvatichisca di tralci e non si

diffonda smodata in ogni direzione.

  • Letteratura Latina
  • De Senectute di Cicerone
  • Cicerone
  • De Senectute

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