Bellum Iugurthinum, Paragrafo 53 - Studentville

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 53

Romani ex improuiso pulueris vim magnam animaduertunt; nam prospectum ager arbustis consitus prohibebat. Et

primo rati humum aridam vento agitari post ubi aequabilem manere et sicuti acies movebatur magis magisque appropinquare vident

cognita re properantes arma capiunt ac pro castris sicuti imperabatur consistunt. Deinde ubi propius ventum est utrimque magno

clamore concurritur. Numidae tantummodo remorati dum in elephantis auxilium putant postquam eos impeditos ramis arborum atque

ita disiectos circumveniri vident fugam faciunt ac plerique abiectis armis collis aut noctis quae iam aderat auxilio integri

abeunt. Elephanti quattuor capti relicui omnes numero quadraginta interfecti. At Romani quamquam itinere atque opere castrorum

et proelio fessi lassique erant tamen quod Metellus amplius opinione morabatur instructi intentique obviam procedunt; nam dolus

Numidarum nihil languidi neque remissi patiebatur. Ac primo obscura nocte postquam haud procul inter se erant strepitu uelut

hostes adventare alteri apud alteros formidinem simul et tumultum facere; et paene imprudentia admissum facinus miserabile ni

utrimque praemissi equites rem explorauissent. Igitur pro metu repente gaudium mutatur: milites alius alium laeti appellant

acta edocent atque audiunt sua quisque fortia facta ad caelum fert. Quippe res humanae ita sese habent: in victoria vel ignavis

gloriari licet aduersae res etiam bonos detrectant.

Versione tradotta

I Romani scorgono

all'improvviso una spessa cortina di polvere: il
terreno, coperto di arbusti, impediva di vedere lontano. Dapprima

pensavano che fosse sabbia sollevata dal vento, ma poi, vedendo che
rimaneva uniforme e che si avvicinava

sempre più via via che l'esercito
avanzava, ricredutisi, si affrettano a prendere le armi e si schierano,

secondo gli ordini, davanti al campo. Poi, come i nemici si furono
avvicinati, gli uni e gli altri si lanciano

all'attacco con alte grida.
I Numidi resistono fino a che ritengono di poter contare sull'aiuto degli

elefanti, ma quando vedono che rimangono impigliati fra i rami degli
alberi e, così dispersi, vengono circondati, si

danno alla fuga, e i più,
gettate le armi, si allontanarono sani e salvi, protetti dal colle e dalla
notte

che sopraggiungeva. Quattro elefanti furono presi; tutti gli
altri, una quarantina, furono uccisi. Ma i Romani,

sebbene fossero
stanchi e spossati per la marcia, per l'allestimento del campo e per la
battaglia,

tuttavia, vedendo che Metello tardava più del previsto, gli
muovono incontro schierati in colonna e con molta

cautela, perché
l'astuzia dei Numidi non consentiva nessuna rilassatezza o negligenza. E
in un primo

momento, nell'oscurità della notte, quando erano a poco
distanza fra loro, si misero ad avanzare con clamore, come

nemici,
provocando gli uni negli altri spavento e confusione: e per poco a causa
dell'equivoco si sarebbe

verificato un deplorevole incidente, se alcuni
cavalieri, mandati in avanguardia da entrambe le parti, non avessero

chiarito il fatto. Una gioia improvvisa subentra dunque al timore. I
soldati esultanti si chiamano l'un

l'altro, raccontano e ascoltano le loro
imprese, ciascuno porta alle stelle le proprie gesta. Così è fatto l'uomo:

nella vittoria possono gloriarsi perfino i vili, nella sconfitta l'infamia
ricade anche sui

valorosi.

  • Letteratura Latina
  • Par. 30-59
  • Sallustio

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