Metellus in isdem castris
quatriduo moratus saucios cum cura reficit meritos in proeliis more militiae donat uniuersos in contione laudat atque agit
gratias hortatur ad cetera quae levia sunt parem animum gerant: pro victoria satis iam pugnatum relicuos labores pro praeda
fore. Tamen interim transfugas et alios opportunos Iugurtha ubi gentium aut quid agitaret cum paucisne esset an exercitum
haberet ut sese victus gereret exploratum misit. At ille sese in loca saltuosa et natura munita receperat ibique cogebat
exercitum numero hominum ampliorem sed hebetem infirmumque agri ac pecoris magis quam belli cultorem. Id ea gratia eveniebat
quod praeter regios equites nemo omnium Numida ex fuga regem sequitur. Quo cuiusque animus fert eo discedunt neque id flagitium
militiae ducitur: ita se mores habent. Igitur Metellus ubi videt etiam tum regis animum ferocem esse bellum renovari quod nisi
ex illius libidine geri non posset praeterea inicum certamen sibi cum hostibus minore detrimento illos vinci quam suos vincere
statuit non proeliis neque in acie sed alio more bellum gerendum. Itaque in loca Numidiae opulentissima pergit agros vastat
multa castella et oppida temere munita aut sine praesidio capit incenditque puberes interfici iubet alia omnia militum praedam
esse. Ea formidine multi mortales Romanis dediti obsides; frumentum et alia quae usui forent affatim praebita; ubicumque res
postulabat praesidium impositum. Quae negotia multo magis quam proelium male pugnatum ab suis regem terrebant; quippe cuius
spes omnis in fuga sita erat sequi cogebatur et qui sua loca defendere nequiuerat in alienis bellum gerere. Tamen ex copia quod
optimum videbatur consilium capit: exercitum plerumque in isdem locis opperiri iubet ipse cum delectis equitibus Metellum
sequitur nocturnis et auiis itineribus ignoratus Romanos palantis repente aggreditur. Eorum plerique inermes cadunt multi
capiuntur nemo omnium intactus profugit et Numidae prius quam ex castris subveniretur sicuti iussi erant in proximos collis
discedunt.
Versione tradotta
Metello, fermatosi nel medesimo campo per quattro giorni, fa
medicare con sollecitudine i feriti, premia
secondo l’uso militare chi si
è distinto in battaglia, loda e ringrazia tutti nel corso di un’assemblea.
Li esorta a compiere con eguale coraggio le rimanenti imprese, che non si
prospettano difficili; afferma che le
ultime fatiche saranno per il
bottino, perché per la vittoria hanno già combattuto abbastanza.
Tuttavia,
nel frattempo, inviò disertori e altri informatori per accertare
dove si trovasse Giugurta, che cosa stesse tramando,
se avesse con sé
pochi uomini o un esercito, come si comportasse dopo la sconfitta. Ma
questi si era
ritirato in luoghi boscosi e protetti dalla natura e stava
reclutando un esercito più numeroso, ma inefficiente e
fiacco, più portato
all’agricoltura e alla pastorizia che alla guerra. Ciò avveniva perché,
tranne i
cavalieri della guardia regia, nessun Numida segue il re nella
ritirata; ognuno va dove vuole e ciò non infrange
l’onore militare: questa
è la loro usanza.
Vedendo dunque Metello che il re è ancora ostinato e si va
rinfocolando
una guerra, in cui non si potrà non sottostare alla sua tattica, e insieme
una lotta ineguale
col nemico, perché la sconfitta comporta per i Numidi
minor danno che la vittoria per i suoi, decide di non
combattere più in
battaglie o in campo aperto, ma con un’altra tattica. Si inoltra,
dunque, nelle regioni
più ricche della Numidia, devasta le campagne,
prende e incendia molte fortezze e città scarsamente difese o prive di
guarnigioni, ordina di uccidere gli adulti e lascia tutto il resto come
bottino ai soldati. Per il timore
furono consegnati ai Romani molti
ostaggi, furono forniti in abbondanza grano e altri generi necessari:
ovunque la situazione lo richiedesse, fu posto un presidio.
Questa tattica atterriva il re molto più che una
sconfitta subita dai
suoi, perché, mentre riponeva ogni speranza nella fuga, era costretto a
inseguire, e
mentre non aveva saputo difendere posizioni favorevoli, ora
doveva combattere in luoghi scelti da altri. Tuttavia
prende la
decisione che, date le circostanze, gli sembra la migliore. Ordina al
grosso dell’esercito di
attendere là dove si trova, mentre lui segue
Metello con cavalieri scelti e procedendo di notte per sentieri impervi,
senza essere visto piomba improvvisamente addosso ai Romani che si
trovavano in ordine sparso. I più,
disarmati come sono, cadono, molti
sono catturati, nessuno riesce a sfuggire indenne. E i Numidi, prima che
giungano aiuti dal campo, si ritirano, secondo gli ordini, sulle colline
vicine.
- Letteratura Latina
- Par. 30-59
- Sallustio