Quid autem stultius quam, cum plurimum copiis, facultatibus, opibus possint, cetera parare,
quae parantur pecunia, equos, famulos, vestem egregiam, vasa pretiosa, amicos non parare, optimam et pulcherrimam vitae, ut ita
dicam, supellectilem? etenim cetera cum parant, cui parent, nesciunt, nec cuius causa laborent (eius enim est istorum quidque,
qui vicit viribus), amicitiarum sua cuique permanet stabilis et certa possessio; ut, etiamsi illa maneant, quae sunt quasi dona
Fortunae, tamen vita inculta et deserta ab amicis non possit esse iucunda. Sed haec hactenus.
Versione tradotta
Qual cosa, d'altra parte, più stolta
che procurarsi, quando si possa moltissimo per l'abbondanza dei mezzi e la posizione sociale, tutte le altre cose che si
possono procurare col denaro, cavalli, servi, abiti di lusso, vasi preziosi, non procurarsi amici, che sono, per così dire, la
migliore e la più bella suppellettile della vita? Difatti quelli che fan ciò, le altre cose, quando le procurano, non sanno per
chi le procurino, né sanno a vantaggio di chi s'affatichino (ognuno di codesti beni, infatti, è di colui che alla fine
risulta più forte): il possesso delle amicizie. dura invece stabile e certo a chi ne possieda: quantunque, pur se quei beni,
che son come doni della fortuna, restassero, tuttavia una vita che gli amici non coltivano, ma trascurano, non sarebbe
piacevole. Ma di ciò basta.
- Letteratura Latina
- De Amicitia di Cicerone
- Cicerone