Bellum Iugurthinum, Paragrafo 58 - Studentville

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 58

Dum apud Zamam sic certatur

Iugurtha ex improuiso castra hostium cum magna manu invadit; remissis qui in praesidio erant et omnia magis quam proelium

expectantibus portam irrumpit. At nostri repentino metu perculsi sibi quisque pro moribus consulunt; alii fugere alii arma

capere; magna pars uulnerati aut occisi. Ceterum ex omni multitudine non amplius quadraginta memores nominis Romani grege facto

locum cepere paulo quam alii editiorem neque inde maxima vi depelli quiuerunt sed tela eminus missa remittere pauci in pluribus

minus frustrari; sin Numidae propius accessissent ibi vero virtutem ostendere et eos maxima vi caedere fundere atque fugare.

Interim Metellus cum acerrime rem gereret clamorem hostilem a tergo accepit dein conuerso equo animaduertit fugam ad se versum

fieri quae res indicabat popularis esse. Igitur equitatum omnem ad castra propere misit ac statim C. Marium cum cohortibus

sociorum eumque lacrimans per amicitiam perque rem publicam obsecrat ne quam contumeliam remanere in exercitu victore neue

hostis inultos abire sinat. Ille brevi mandata efficit. At Iugurtha munimento castrorum impeditus cum alii super vallum

praecipitarentur alii in angustiis ipsi sibi properantes officerent multis amissis in loca munita sese recepit. Metellus

infecto negotio postquam nox aderat in castra cum exercitu revertitur.

Versione tradotta

Mentre si combatte in questo modo a

Zama, Giugurta attacca
improvvisamente il campo nemico con grandi forze e per la negligenza delle

sentinelle, che tutto s'aspettavano fuorché un attacco, irrompe attraverso
una porta. I nostri, in preda al panico

per la sorpresa, pensano a
salvarsi ciascuno a suo modo: alcuni si danno alla fuga, altri prendono le
armi,

i più rimangono feriti e uccisi. Di tutta quella moltitudine, non
più di quaranta, memori del nome romano,

raggruppatisi, occuparono una
posizione un po' più elevata delle altre e non ci fu forza capace di

scacciarli di lì. Rilanciavano i giavellotti scagliati loro di lontano, ed
essendo pochi contro molti fallivano meno

i colpi. Se poi i Numidi si
facevano più sotto, allora davvero davano prova del loro valore e con
furia

irresistibile li colpivano, li travolgevano e li mettevano in fuga.
Frattanto Metello, mentre conduceva l'assalto

con grande accanimento,
sentì alle spalle grida di nemici, poi, voltato il cavallo, si accorse che
i

fuggitivi andavano verso di lui: ciò dimostrava che si trattava dei
suoi. Manda, dunque, immediatamente al campo

tutta la cavalleria e
sùbito dopo Gaio Mario con le coorti degli alleati; con le lacrime agli
occhi lo

scongiura, in nome dell'amicizia e della repubblica, di non
permettere che l'onore di un esercito vittorioso sia

infangato e che il
nemico si allontani impunito. Mario esegue al più presto gli ordini. Ma
Giugurta,

impacciato dalle fortificazioni del campo, perché alcuni
precipitavano sul vallo e altri, accalcandosi nei punti più

stretti, si
ostacolavano a vicenda, si ritirò con molte perdite in luoghi fortificati.
Metello, senza aver

raggiunto il suo scopo, venuta ormai la notte,
ritorna al campo con l'esercito.

  • Letteratura Latina
  • Par. 30-59
  • Sallustio

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