Bellum Iugurthinum, Paragrafo 62 - Studentville

Bellum Iugurthinum, Paragrafo 62

Is ubi primum opportunum

fuit Iugurtham anxium ac miserantem fortunas suas accedit monet atque lacrimans obtestatur uti aliquando sibi liberisque et

genti Numidarum optime meritae prouideat: omnibus proeliis sese victos agrum vastatum multos mortalis captos occisos regni opes

comminutas esse; satis saepe iam et virtutem militum et fortunam temptatam; caueat ne illo cunctante Numidae sibi consulant.

His atque talibus aliis ad deditionem regis animum impellit. mittuntur ad imperatorem legati qui Iugurtham imperata facturum

dicerent ac sine ulla pactione sese regnumque suum in illius fidem tradere. Metellus propere cunctos senatorii ordinis ex

hibernis accersi iubet; eorum et aliorum quos idoneos ducebat consilium habet. Ita more maiorum ex consili decreto per legatos

Iugurthae imperat argenti pondo ducenta milia elephantos omnis equorum et armorum aliquantum. Quae postquam sine mora facta

sunt iubet omnis perfugas vinctos adduci. Eorum magna pars uti iussum erat adducti; pauci cum primum deditio coepit ad regem

Bocchum in Mauretaniam abierant. Igitur Iugurtha ubi armis virisque et pecunia spoliatus est cum ipse ad imperandum Tisidium

vocaretur rursus coepit flectere animum suum et ex mala conscientia digna timere. Denique multis deibus per dubitationem

consumptis cum modo taedio rerum aduersarum omnia bello potiora duceret interdum secum ipse reputaret quam grauis casus in

servitium ex regno foret multis magnisque praesidiis nequiquam perditis de integro bellum sumit. Et Romae senatus de prouinciis

consultus Numidiam Metello decreverat.

Versione tradotta

Bomilcare, presentatasi l'occasione, avvicina Giugurta,

dubbioso e
avvilito per la propria sorte, e lo scongiura con le lacrime agli occhi di
pensare una buona

volta a se stesso, ai suoi figli e al popolo numida che
si era così ben comportato. Gli rammenta le continue

sconfitte, la
devastazione delle terre, la cattura e l'uccisione di molti uomini,
l'annientamento delle

risorse del regno. Aveva già messo alla prova
abbastanza il valore dei soldati e la fortuna: ora doveva stare ben

attento che, mentre indugiava, i Numidi non provvedessero alla propria
salvezza da soli. Con questi

argomenti e altri simili induce il re ad
arrendersi. Si inviano al comandante romano legati a riferire che

Giugurta è pronto a eseguire ogni ordine e ad affidare senza condizioni se
stesso e il regno alla sua lealtà.

Metello convoca immediatamente dai
quartieri invernali tutti i membri dell'ordine senatorio e con questi e

altri ritenuti idonei tiene un consiglio. Così, secondo l'uso degli
antenati, in base al decreto del consiglio

intima a Giugurta, per mezzo di
legati, di consegnare duecentomila libbre d'argento, tutti gli elefanti e

una parte dei cavalli e delle armi. Eseguite senza indugio queste
condizioni, ordina che tutti i disertori gli siano

condotti in catene.
La maggior parte di questi gli fu condotta secondo gli ordini; pochi,
appena si

cominciò a trattare la resa, si erano rifugiati in Mauritania,
presso il re Bocco. A quel punto, Giugurta, spogliato

delle armi, degli
uomini e del denaro, e vistosi egli stesso citato a comparire a Tisidio
per ricevere

ordini, cominciò nuovamente a vacillare e a temere, per la
consapevolezza delle sue colpe, la giusta pena. Consumò

molti giorni nel
dubbio: da una parte, per l'amarezza degli insuccessi, ogni sorte gli
sembrava migliore

della guerra, dall'altra, fra sé considerava quanto
fosse duro precipitare dal trono alle catene. Alla fine, sebbene

si fosse
privato invano di tante e così valide difese, riprende daccapo la guerra.
Nel frattempo a Roma il

senato, chiamato a deliberare sulle province,
aveva assegnato la Numidia a Metello.

  • Letteratura Latina
  • Par. 60-89
  • Sallustio

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