Vagenses ubi animum aduertere ad se versum
exercitum pergere primo uti erat res Metellum esse rati portas clausere; deinde ubi neque agros vastari et eos qui primi
aderant Numidas equites vident rursum Iugurtham arbitrati cum magno gaudio obvii procedunt. Equites peditesque repente signo
dato alii uulgum effusum oppido caedere alii ad portas festinare pars turris capere: ira atque praedae spes amplius quam
lassitudo posse. Ita Vagenses biduum modo ex perfidia laetati; civitas magna et opulens cuncta poenae aut praedae fuit.
Turpilius quem praefectum oppidi unum ex omnibus profugisse supra ostendimus iussus a Metello causam dicere postquam sese parum
expurgat condemnatus verberatusque capite poenas soluit; nam is civis ex Latio erat.
Versione tradotta
I Vagesi, appena scorsero un esercito avanzare verso di loro,
pensarono dapprima che fosse, come in
effetti era, Metello, e perciò
chiusero le porte; poi, vedendo che i campi non venivano devastati e che i
primi ad apparire erano cavalieri numidi, si convinsero, al contrario, che
si trattasse di Giugurta e gli andarono
incontro esultanti. Cavalieri e
fanti, improvvisamente, al segnale, parte fanno strage della folla
riversatasi fuori della città, altri corrono alle porte, altri ancora
s'impadroniscono delle torri. L'ira e la
speranza di bottino fanno più
della stanchezza. Così gli abitanti di Vaga ebbero solo due giorni per
rallegrarsi della loro perfidia; poi quella grande e ricca città fu
completamente abbandonata alla vendetta e al
saccheggio. Turpilio, il
prefetto della città, che, come si è già detto, era stato l'unico a
salvarsi, fu
obbligato da Metello a discolparsi; poiché non riuscì a
giustificarsi in modo plausibile, fu condannato: dopo esser
stato
frustato, subì la pena capitale, perché era cittadino latino.
- Letteratura Latina
- Par. 60-89
- Sallustio