Per idem tempus
Bomilcar cuius impulsu Iugurtha deditionem quam metu deseruit inceperat suspectus regi et [ipse] eum suspiciens novas res
cupere ad perniciem eius dolum quaerere die noctuque fatigare animum. Denique omnia temptando socium sibi adiungit Nabdalsam
hominem nobilem magnis opibus clarum acceptumque popularibus suis qui plerumque seorsum ab rege exercitum ductare et omnis res
exequi solitus erat quae Iugurthae fesso aut maioribus asstricto superauerant; ex quo illi gloria opesque inventae. Igitur
utriusque consilio dies insidiis statuitur; cetera uti res posceret ex tempore parari placuit. Nabdalsa ad exercitum profectus
quem inter hiberna Romanorum iussus habebat ne ager inultis hostibus vastaretur. Is postquam magnitudine facinoris perculsus ad
tempus non venit metusque rem impediebat Bomilcar simul cupidus incepta patrandi et timore soci anxius ne omisso uetere
consilio nouum quaereret litteras ad eum per homines fidelis mittit in quis mollitiam socordiamque viri accusare testari deos
per quos iurauisset monere ne praemia Metelli in pestem conuerteret: Iugurthae exitium adesse ceterum suane an Metelli virtute
periret id modo agitari; proinde reputaret cum animo suo praemia an cruciatum mallet.
Versione tradotta
In quello stesso tempo Bomilcare, che aveva indotto Giugurta a
negoziare la
resa, da lui poi interrotta per paura, vedendosi sospettato
dal re e sospettando lui stesso del re, cominciò a
tramare una rivolta, a
escogitare stratagemmi per trarlo in rovina, non pensando ad altro notte e
giorno.
Usando tutti i mezzi, egli riuscì infine ad associarsi come
complice Nabdalsa, uomo nobile, ricco, illustre e molto
popolare tra i
suoi compatrioti. Questi era solito comandare l’esercito in assenza del re
e attendeva a
tutte le faccende che Giugurta, stanco o assorbito da affari
più importanti, non riusciva a sbrigare. Da ciò aveva
tratto gloria e
ricchezze. Di comune accordo stabiliscono il giorno dell’agguato,
riservandosi, quanto al
resto, di provvedere al momento, secondo le
circostanze. Nabdalsa raggiunse l’esercito, che aveva avuto l’ordine
di
tenere tra i quartieri invernali dei Romani, per impedire che i nemici
devastassero impunemente le
campagne. Ma spaventato dall’enormità del
delitto non venne all’appuntamento e con la sua paura impedì
l’esecuzione
del complotto. Allora Bomilcare, da una parte desideroso di portare a
termine il suo disegno,
dall’altra timoroso che il complice, spaventato,
abbandonasse il vecchio progetto e ne escogitasse uno nuovo, gli
manda una
lettera per mezzo di uomini fidati. In questa rimprovera Nabdalsa per la
sua debolezza e per la
sua viltà, invoca come testimoni gli dèi per cui
aveva giurato e lo esorta a non trasformare in loro completa rovina
le
ricompense promesse da Metello: la fine di Giugurta era vicina; si
trattava solo di sapere se doveva
morire per mano loro o di Metello.
Riflettesse, dunque, se preferiva il premio o il supplizio.
- Letteratura Latina
- Par. 60-89
- Sallustio