Igitur
Metellus ubi de casu Bomilcaris et indicio patefacto ex perfugis cognovit rursus tamquam ad integrum bellum cuncta parat
festinatque. Marium fatigantem de profectione simul et inuitum et offensum sibi parum idoneum ratus domum dimittit. Et Romae
plebes litteris qua de Metello ac Mario missae erant cognitis volenti animo de ambobus acceperant. Imperatori nobilitas quae
antea decori fuit invidiae esse; at illi alteri generis humilitas fauorem addiderat. Ceterum in utroque magis studia partium
quam bona aut mala sua moderata. Praeterea seditiosi magistratus uulgum exagitare Metellum omnibus contionibus capitis
arcessere Mari virtutem in maius celebrare. Denique plebes sic accensa uti opifices agrestesque omnes quorum res fidesque in
manibus sitae erant. relictis operibus frequentarent Marium et sua necessaria post illius honorem ducerent. Ita perculsa
nobilitate post multas tempestates nouo homini consulatus mandatur. Et postea populus a tribuno plebis T. Manlio Mancino
rogatus quem vellet cum Iugurtha bellum gerere frequens Marium iussit. Sed paulo … Decreverat: ea res frustra fuit.
Versione tradotta
Metello pertanto, quando viene a sapere dai disertori della
fine
di Bomilcare e della scoperta della cospirazione, si affretta nuovamente a
fare tutti i preparativi
come per una nuova guerra. Concede di tornare
in patria a Mario, che chiedeva con insistenza di partire, perché,
essendo
insofferente di rimanere e ostile nei suoi confronti, gli sembrava ormai
poco adatto ai suoi scopi.
A Roma la plebe, appreso il contenuto delle
lettere inviate sul conto di Metello e di Mario, aveva accolto con
soddisfazione le notizie su entrambi. L'origine nobile, che prima era
stata titolo d'onore per il comandante,
ora gli nuoceva; viceversa
l'umiltà dei natali aveva accresciuto la popolarità dell'altro. Del resto
il
giudizio nei confronti dell'uno e dell'altro fu influenzato più dallo
spirito di parte che dai meriti e dai difetti
propri di ciascuno.
C'erano poi magistrati sediziosi che istigavano il popolo; in tutte le
assemblee
accusavano Metello di delitti capitali ed esaltavano oltre
misura il valore di Mario. Infine la plebe ne fu tanto
infiammata, che
tutti gli artigiani e i contadini, che non avevano altra risorsa o credito
che il lavoro
delle loro braccia, lasciavano le loro attività per
accorrere in folla attorno a Mario e attribuivano più importanza
al suo
successo che ai loro interessi. Così, tra la costernazione dei nobili,
dopo anni e anni, il
consolato fu conferito a un uomo nuovo. In seguito,
quando il tribuno della plebe Tito Manlio Mancino chiese al
popolo quale
generale dovesse condurre la guerra contro Giugurta, Mario fu designato a
grande maggioranza.
Eppure poco prima il senato aveva riconfermato la
Numidia a Metello, ma tale decisione fu vana.
- Bellum Iugurthinum
- Par. 60-89
- Sallustio