Atque ut iste interpositus sermo deliciarum desidiaeque moreretur (fecit me invito mehercule et multum repugnante sed tamen fecit) nomen amici mei de ambitu detulit; quem absolutum insequitur revocat; nemini nostrum obtemperat est violentior quam vellem. Sed ego non loquor de sapientia quae non cadit in hanc aetatem; de impetu animi loquor de cupiditate vincendi de ardore mentis ad gloriam; quae studia in his iam aetatibus nostris contractiora esse debent in adulescentia vero tamquam in herbis significant quae virtutis maturitas et quantae fruges industriae sint futurae. Etenim semper magno ingenio adulescentes refrenandi potius a gloria quam incitandi fuerunt; amputanda plura sunt illi aetati siquidem efflorescit ingenii laudibus quam inserenda.
Versione tradotta
Fu appunto per mettere fine a quelle chiacchiere sulla sua vita di voluttà e di ignavia, che egli si diede ad accusare (lo fece, vivaddio, me contrario, e con la mia più viva resistenza, ma tuttavia lo fece) l'amico mio Atratino per corruzione elettorale. Prosciolto quest'ultimo, egli torna all'assalto e lo accusa di nuovo: sordo ai consigli di tutti noi, diviene più aggressivo di quanto non vorrei. Ma io non voglio parlare di saggezza, che a quell'età non esiste; parlo invece della impulsività dell'animo, della smania di superare, della sete febbrile di gloria. Sono passioni, codeste, che alla nostra età possono essere frenate, ma che in gioventù sono come il preannunzio in erba di quanta maturità di doti e di quali frutti sarà prodiga l'attività futura. Sempre i giovani di grande intelligenza furono piuttosto da trattenere che non da spingere verso la gloria; e c'è più da potare che da innestare in coloro sui quali, a quell'età, fioriscono le lodi intorno al loro ingegno.
- Letteratura Latina
- Pro Caelio di Cicerone
- Cicerone