Quamquam boc animo semper omnes fuimus in patriae proditoribus opprimendis ut quoniam nostra futura esset gloria periculum quoque et invidiam nostram putaremus. Nam quae mihi ipsi tribuenda laus esset cum tantum in consulatu meo pro vobis ac liberis vestris ausus essem si id quod conabar sine maximis dimicationibus meis me esse ausurum arbitrarer? Quae mulier sceleratum ac perniciosum civem interficere non auderet si periculum non timeret? Proposita invidia morte poena qui nihilo segnius rem publicam defendit is vir vere putandus est. Populi grati est praemiis adficere bene meritos de re publica civis; viri fortis ne suppliciis quidem moveri ut fortiter fecisse paeniteat.
Versione tradotta
Eppure nell'annientare i traditori della patria siamo stati sempre dell'opinione che, se nostra doveva esserla gloria, avrebbero dovuto esserlo ugualmente i pericoli e l'impopolarità. Difatti di quale gloria mi sarei dovuto ritenere degno per aver tanto osato all'epoca del consolato in difesa vostra e dei vostri figli, se avessi creduto di poter raggiungere il mio scopo senza grandissimi rischi? Quale donna non avrebbe l'audacia di sopprimere un cittadino scellerato ed esiziale, se non avesse timore dei pericoli? Ma chi, avendo dinanzi agli occhi impopolarità morte punizioni, ciò nonostante difende lo stato con uguale ardore, è veramente degno del nome di uomo. E' compito di un popolo riconoscente premiare i cittadini benemeriti nei confronti dello stato, ma è compito di un uomo coraggioso non essere indotto neppure dalle torture a pentirsi di aver agito con coraggio.
- Letteratura Latina
- Pro Milone di Cicerone
- Cicerone