Serpit enim nescio quo modo per omnium vitas amicitia nec ullam aetatis degendae
rationem patitur esse expertem sui. Quin etiam si quis asperitate ea est et immanitate naturae, congressus ut hominum fugiat
atque oderit, qualem fuisse Athenis Timonem nescio quem accepimus, tamen is pati non possit, ut non anquirat aliquem, apud quem
evomat virus acerbitatis suae. Atque hoc maxime iudicaretur, si quid tale posset contingere, ut aliquis nos deus ex hac hominum
frequentia tolleret et in solitudine uspiam collocaret atque ibi suppeditans omnium rerum, quas natura desiderat, abundantiam
et copiam hominis omnino aspiciendi potestatem eriperet. Quis tam esset ferreus qui eam vitam ferre posset, cuique non auferret
fructum voluptatum omnium solitudo?
Versione tradotta
Serpeggia infatti, non so in che modo, per la vita
di tutti l'amicizia, e non lascia che condizione alcuna di vita sia priva di lei. Anzi, se alcuno fosse di sì aspra e fiera
natura, da fuggire e odiare il trovarsi con gli altri, quale si dice sia stato non so qual Timone d'Atene, tuttavia egli non
potrebbe tralasciar di cercare uno con cui sfogare il veleno dell'asprezza sua. E ciò massimamente si capirebbe se ci
potesse capitare qualcosa di questa fatta, che cioè un dio ci togliesse da questo consorzio d'uomini e ci ponesse in un
qualche deserto, e ivi pur dandoci grande abbondanza di tutte le cose che la natura nostra desidera, ci togliesse la
possibilità di vedere qualche uomo. Chi avrebbe animo tanto ferreo, da poter tollerare una tal vita e a cui non togliesse il
frutto d'ogni piacere la solitudine?
- Letteratura Latina
- De Amicitia di Cicerone
- Cicerone