Vita dei Cesari (Titus) – Paragrafo 9 - Studentville

Vita dei Cesari (Titus) – Paragrafo 9

Pontificatum maximum ideo se

professus accipere ut puras servaret manus fidem praestitis nec auctorem posthac cuiusquam necis nec conscius quamvis interdum

ulciscenti causa non deesset sed periturum se potius quam perditurum adiurans. Duos patricii generis convicto in adfectationem

imperii nihil amplius quam ut desisteret monuit docens principatum fato dati si quid praeterea desiderarent promitteres se

tributurum; et confestim quidem at alterius matrem quae procul aberat cursore suos misit qui anxiae salvum filium nuntiarent;

ceterum ipsos non solum familiari cenae adhibuit sed et insequenti die gladiatorum spectaculo circa se ex industria conlocatis

ablata sibi ferramenta pugnantium inspicienda porrexit. Dicitur etiam cognita utriusque genitura imminere ambobus periculum

adfirmasse verum quandoque et ab alio; sicut evenit.

Fratrem insidiari sibi non desinentem sed paene ex professo

sollicitantem exercitus meditantem fugam neque occidere neque seponere ac ne in minore quidem honore habere sustinuit sed ut a

primo imperii die consorte successoremque testari perseveravit nonnumquam secreto precibus et lacrimis orans ut tandem mutuo

erga se animo vellet esse.

Versione tradotta

Aveva dichiarato di accettare il

sommo pontificato solo per conservare le mani pure, e mantenne la parola, perché da quel momento nessuno fu messo a morte per

suo ordine o con il suo consenso, sebbene talvolta non gli mancassero le occasioni di vendicarsi, ma egli giurava «che

preferiva morire, piuttosto che far morire qualcuno». Dimostrati colpevoli due patrizi di aspirare all'Impero, li invitò

soltanto a rinunciarvi, insegnando loro che «il principato viene dato dal destino» e promettendo, per di più, che avrebbe

accordato tutto quello che avessero chiesto. Subito, poi, presso la madre di no di questi patrizi, che si trovava lontana,

inviò alcuni suoi messaggeri che annunciassero alla donna preoccupata che il figlio era salvo, e quanto ai due, non solo li

ammise ad una cena intima, ma, il giorno successivo, durante uno spettacolo di gladiatori, fatti sedere proprio accanto a sé

volutamente, porse loro le armi dei combattenti, presentate a lui per farle esaminare. Si dice anche che, venuto a conoscenza

del loro oroscopo, li avvertì che incombeva su entrambi un pericolo, che non sarebbe venuto da un altro, e così accadde. Tito

ebbe la costanza di non far uccidere, di non allontanare e nemmeno di diminuire gli onori a suo fratello, che non cessava di

complottare contro di lui e che, quasi senza nascondersi, sollecitava perfino le armate alla rivolta e si preparava a fuggire,

ma continuò, come dal primo giorno del suo principato, a proclamarlo suo socio, suo futuro successore, supplicandolo in segreto

talvolta con lacrime e preghiere, a voler contraccambiare il suo affetto.

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