Cuius autem aures clausae veritati sunt, ut ab amico verum audire nequeat, huius
salus desperanda est. Scitum est enim illud Catonis, ut multa: ‘melius de quibusdam acerbos inimicos mereri quam eos amicos
qui dulces videantur; illos verum saepe dicere, hos numquam.’ Atque illud absurdum, quod ii, qui monentur, eam molestiam
quam debent capere non capiunt, eam capiunt qua debent vacare; peccasse enim se non anguntur, obiurgari moleste ferunt; quod
contra oportebat, delicto dolere, correctione gaudere.
Versione tradotta
Colui che ha le
orecchie così chiuse alla verità da non poter udire il vero da un amico, costui non si può sperar di salvarlo. E' ben
azzeccato un detto di Catone, come molti altri: «Rendono a certuni miglior servizio aspri nemici, di quegli amici che han
l'aria d'essere dolci: quelli spesso dicono il vero, questi mai». Ed è questa una cosa assurda, che i rimproverati quel
dispiacere che dovrebbero provare non lo provano; provano invece quello che non li dovrebbe toccare; d'avere sbagliato,
infatti, non si angustiano; sopportano con dispiacere d'essere rimproverati. E sarebbe dovuto essere il contrario: dolersi
della colpa, godere della correzione.
- Letteratura Latina
- De Amicitia di Cicerone
- Cicerone