Postquam tantam rem Marius
sine ullo suorum incommodo peregit magnus et clarus antea maior atque clarior haberi coepit. Omnia non bene consulta in
virtutem trahebantur: milites modesto imperio habiti simul et locupletes ad caelum ferre; Numidae magis quam mortalem timere;
postremo omnes socii atque hostes credere illi aut mentem divinam esse aut deorum nutu cuncta portendi. Sed consul ubi ea res
bene evenit ad alia oppida pergit pauca repugnantibus Numidis capit plura deserta propter Capsensium miserias igni corrumpit:
luctu atque caede omnia complentur. Denique multis locis potitus ac plerisque exercitu incruento aliam rem aggreditur non eadem
asperitate qua Capsensium ceterum haud secus difficilem. Namque haud longe a flumine Muluccha quod Iugurthae Bocchique regnum
diiungebat erat inter ceteram planitiem mons saxeus mediocri castello satis patens in immensum editus uno perangusto aditu
relicto; nam omnis natura uelut opere atque consulto praeceps. Quem locum Marius quod ibi regis thesauri erant summa vi capere
intendit. Sed ea res forte quam consilio melius gesta. Nam castello virorum atque armorum satis et magna vis [et] frumenti et
fons aquae; aggeribus turribusque et aliis machinationibus locus importunus; iter castellanorum angustum admodum utrimque
praecisum. Ea vineae cum ingenti periculo frustra agebantur; nam cum eae paulo processerant igni aut lapidibus corrumpebantur.
milites neque pro opere consistere propter iniquitatem loci neque inter vineas sine periculo administrare: optimus quisque
cadere aut sauciari ceteris metus augeri.
Versione tradotta
Mario, già prima grande e famoso, dopo aver compiuto un'impresa
così difficile, senza alcuna perdita fra i
suoi, cominciò a essere
considerato ancora più grande e illustre. Tutte le sue imprese, anche se
avventate, passavano per atti di valore. I soldati, sottoposti a una mite
disciplina e al tempo stesso arricchiti, lo
portavano alle stelle; i
Numidi lo temevano come un essere sovrumano. Tutti, infine, alleati e
nemici, lo
credevano dotato di un'intelligenza divina o ispirato, in ogni
sua azione, dal volere degli dèi. Il console, dopo
questo successo, si
dirige verso altre città. Di queste, poche le prende nonostante la
resistenza dei
Numidi, ma la maggior parte le trova deserte in séguito
alla misera fine dei Capsesi e le dà alle fiamme. Tutta la
Numidia si
riempie di lutti e di stragi. Infine, dopo essersi impadronito di molti
centri e nella maggior
parte dei casi senza aver subito perdite, tenta
un'altra impresa, che non presentava le medesime difficoltà di
quelle di
Capsa, ma non per questo era meno impegnativa. Non lontano dal fiume
Mulucca, che separava il
regno di Giugurta da quello di Bocco, si ergeva
sulla pianura circostante un altissimo picco roccioso,
sufficientemente
ampio per ospitare una fortezza di medie proporzioni. L'unico accesso era
costituito da
uno strettissimo sentiero, perché da tutte le parti la
montagna era per natura scoscesa, come se fosse stata tagliata
ad arte
dall'uomo. Mario tentò di impadronirsi di quella posizione ad ogni
costo, dato che vi erano
conservati i tesori del re. Ma l'impresa riuscì
più per caso che per un piano appositamente studiato. La fortezza,
infatti, era ben provvista di uomini e di armi, di un'abbondante scorta di
grano e di una sorgente
d'acqua; la sua posizione non consentiva la
costruzione di terrapieni e neppure l'uso di torri o di altre macchine
da
guerra; il sentiero che portava al castello era molto stretto e scosceso
da entrambe le parti. Le vinee
vi erano spinte con grande pericolo e
senza risultato, perché, non appena avanzavano un poco, venivano distrutte
dal fuoco e dalle pietre. Per la pendenza del terreno i soldati non
riuscivano a mantenersi in equilibrio
davanti alle opere di assedio e non
erano in grado di manovrare tra le vinee senza correre gravi pericoli. I
più valorosi venivano uccisi o feriti, gli altri si scoraggiavano sempre
di più.
- Letteratura Latina
- Par. 90-114
- Sallustio